Una pastorale per e con le persone omosessuali
Relazione di Domenico Pezzini tenuta all’incontro “In ascolto delle diversità: le persone omosessuali” (Verbania Pallanza – 16 febbraio 2002)
Domenico Pezzini è un prete di Milano che da anni segue i gruppi di omosessuali credenti, cosa che lo ha ha portato a elaborare una vera e propria pastorale per le persone omosessuali. Perchè “le persone omosessuali hanno bisogno di parlare. Ho pertanto ritenuto necessario creare un luogo dove le persone potessero essere se stesse senza difendersi e senza nascondersi.
per aiutarli a “leggere la propria esperienza mettendola a confronto con i grandi valori del vangelo per elaborare alcune regole di comportamento” .Questo è il racconto della sua esperienza pastorale.
Il mio intervento avrà un carattere testimoniale. È dal 1980 che ho messo in piedi due gruppi di omosessuali credenti, aperti a chiunque ritenga interessante trovare un ambiente in cui ci si possa esprimere liberamente, ascoltare e essere ascoltati.
I documenti del magistero della chiesa ci hanno fatto assistere ad una curiosa altalena. C’è ancora chi crede che dalla nascita di Gesù in poi il Magistero della chiesa abbia detto sempre le stesse cose e allo stesso modo! Invece mentre nel documento già citato del 1975 si parlava di tendenza in sé neutra e di atti invece da condannare, in un documento successivo, quello del 1986 (Cura pastorale delle persone omosessuali) la tendenza diventa anch’essa intrinsecamente disordinata.
Allo stesso modo la prima stesura del catechismo della chiesa cattolica parlava di tendenza omosessuale innata, diventa, nella successiva edizione, “profondamente radicata”.
L’inizio del mio applicarmi in una pastorale per e con le persone omosessuali è il 1980. La nascita di gruppi omosessuali cristiani è quasi contemporanea in molti paesi europei e americani. Da un lato si dà sempre più importanza al soggetto, con una crescente insofferenza per ogni catalogazione di persone. Dall’altra il Vaticano II ha dato più spazio ai laici, al loro ruolo, anche sul piano della elaborazione della morale.
L’occasione fu la risposta ad una lettera di una persona che non riusciva a conciliare il suo essere cattolico con l’essere omosessuale. Ma il vangelo è per tutti, non solo per gli eterosessuali.
Non riesco a sopportare una comunità cristiana che produca esclusione e emarginazioni. È un tradimento di ciò che Gesù ha fatto e ha detto.
La prima intuizione: le persone omosessuali hanno bisogno di parlare. Ho pertanto ritenuto necessario creare un luogo dove le persone potessero essere se stesse senza difendersi e senza nascondersi.
a seconda esigenza era di leggere la propria esperienza mettendola a confronto con i grandi valori del vangelo per elaborare alcune regole di comportamento.
La sessualità è un linguaggio e come ogni linguaggio ha una sua grammatica. Alcune regole sono già state ricordate da Giannino: la rinuncia al delirio di onnipotenza e la rinuncia alla possessività. Il cercare insieme come vivere positivamente la relazione comportava il mettere un po’ a lato la sessualità come genitalità. Il terzo obiettivo era quello di comunicare agli altri quanto si veniva elaborando nel gruppo. Da questo impegno è nato il libro Alle porte di Sion del 1998.
Ho scoperto,in questa mia attività, che la più importante esigenza delle persone non quella sessuale, ma quella affettiva, anche se le due dimensioni sono interrelate.
Così ho potuto attingere a piene mani dalla letteratura medievale sull’amicizia, in particolare i testi di Aelredo di Rievaulx. Mettendo al centro non la sessualità, ma la vocazione alla relazione è stato possibile elaborare una pastorale ricca di stimoli per e con le persone omosessuali.
La bibbia ha fornito l’icona per dare il nome al primo gruppo, quello del “Guado”. Al guado del torrente Iabbok si svolge la lotta notturna tra Giacobbe e l’angelo. È un’immagine relazionale.
La mia spiritualità è stata segnata dal mio incontrare situazioni di sofferenza, di fragilità emotiva, di emarginazione. Ho imparato a fare della fragilità una forza e della debolezza un punto di partenza per un cammino spirituale.
Uno dei due libretti che ho prodotto grazie a queste riflessioni si intitola le ferite che guariscono, cioè le ferite guariscono se io, assumendo le mie ferite, mi sforzo di guarire quelle degli altri. È la spiritualità della fragilità e della relazione. L’omosessualità non può essere un cagnolino rabbioso da tenere al guinzaglio, ma è qualcosa a partire dalla quale posso costruire un cammino di spiritualità.
Dopo il 1985 ho lasciato il gruppo del “Guado”, che è rimasto un gruppo di prima accoglienza, e ho avviato il gruppo “La Fonte”, che propone un cammino più impegnativo. È un luogo dove il modo di incontrarsi è basato sullo scambio di esperienza. Il gruppo è esso stesso scuola di relazionalità.
Concludo con ciò che ho scritto nell’introduzione a Alle porte di Sion: “Questo libro è offerto con questo desiderio: che la gente si ascolti, si intenda meglio e si accolga con cuore aperto e disponibile.
Ritorno su un mio chiodo fisso: nessuna persona è veramente uguale all’altra, ma in certe cose grandi, come il bisogno di autostima e, connesso a questo, il bisogno di essere amati e di amare, siamo tutti uguali. Saper tenere insieme il rispetto per le diversità, e la gioia di ritrovare sintonie, credo che sia il segreto di una buona convivenza, nella famiglia come nella relazione amicale, nella società come nella Chiesa”.
Dal dibattito, una risposta su “Adozione e coppie omosessuali”
Pezzini: Quando mi fanno la domanda sull’adozione mi permetto di dire due o tre cose. La prima è che dal punto di vista dell’educazione – è un a priori – avere due referenti di sesso diverso, con quel che ne consegue, sia meglio. Anche le famiglie monoparentali non sono l’ideale.
La seconda è che bisogna stare attenti a non pensare al bambino come al soprammobile di casa. Non è il bambino per la famiglia, ma la famiglia per il bambino. A volte anche nelle coppie eterosessuali c’è questo rischio.
La terza è che non è importante che la coppia omosessuale copi la coppia eterosessuale.
Dette tutte queste cose, se in una situazione concreta – non so dare una risposta generale – la scelta è da fare tra una situazione educativa che può essere a volte sciagurata e una possibilità educativa migliore, quest’ultima non dovrebbe creare problemi.
Ho letto di recente secondo studi fatti dai soliti americani (che su queste cose sono sempre lì a studiare) che non è obbligatorio che il bambino dato in affido alla coppia omosessuale diventi omosessuale. Pare di no. Diventa quello che è.
Anche in questo caso bisogna articolare il discorso. Purtroppo la Tv educa la gente al “mi dica in una battuta”. Ragion per cui è da una eternità che non vado in tv. È meglio fare incontri di queste misure, perché qui si ragiona e ci si capisce meglio.