Una questione irrisolta. Donne e diaconato
Articolo di Giuseppina D’Urso pubblicato sul srttimanale cristiano Adista Segni Nuovi n° 28 del 27 luglio 2019, 10-11
A fine maggio, il 30 per la precisione, presso un’aula di Palazzo Dossetti dell’Università di Reggio Emilia, si è svolto l’ultimo di una serie di incontri per il 2° ciclo di “Teologia delle Donne”. Un ciclo iniziato nel mese di dicembre che ha visto come protagoniste per il secondo anno consecutivo le donne e la loro capacità di creare e di interpretare un pensiero teologico universale.
Per l’ultimo appuntamento dagli organizzatori è stata chiamata la teologa Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, a trattare un tema che all’interno della Chiesa cattolica mantiene la sua attualità, vale a dire quello del “Diaconato delle donne” con il suo bagaglio di storia, di resistenze anche di rivelazione.
Nel maggio del 2016 l’USG (Unione delle Superiore Generali) in un incontro con il papa pose varie domande fra le quali quella del perché delle tante attività di cui le donne si occupano all’interno della Chiesa non faccia parte il diaconato. Il papa ritenne la domanda interessante e chiese l’istituzione di una commissione paritaria che, a quanto pare, negli anni non ha ottenuto alcun risultato visto che a maggio 2019, poste sempre dall’USG al papa le stesse questioni, le risposte sono state le medesime.
Nel 2016 al papa venne domandato: “Cosa impedisce alle donne di accedere al diaconato permanente [istituito dal Concilio Vaticano II, aperto attualmente solo agli uomini], come accadeva nella Chiesa primitiva?” Infatti la Chiesa cattolica si ritiene da una parte portatrice per eccellenza della tradizione, dall’altra aperta all’innovazione, in ambedue i casi quindi dovrebbe riconoscere il ruolo del diaconato femminile. Ma la posta in gioco è alta e rivela la presenza di scheletri nell’armadio.
Tali scheletri si riferiscono a una visione rigida e gerarchizzata di cosa sia maschile e femminile, perciò sia a una questione di genere che a una di potere. Da cui si evincono i tre fantasmi presenti nella risposta del papa: il primo relativo alla già citata tradizione (spesso tendente al “tradizionalismo”, visione miope e strumentale dei lasciti della Storia); il secondo e il terzo al femminismo e al clericalismo.
Nel secondo caso il papa si è raccomandato alla suore presenti di non scivolare nel femminismo, dando a tutto il movimento femminista un connotato negativo; nel terzo caso di non cadere nel clericalismo, come se automaticamente, nel momento in cui le donne chiedono di partecipare a ruoli finora riservati agli uomini, cadessero in maniera denigratoria in forme cattive di gestione, come il clericalismo, che trarrebbe dal vangelo delle pietre da scagliare verso gli altri. Tra l’altro un’accusa estendibile a tutto il clero, reo in toto di una forma deviata di interpretazione del ruolo.
Il problema del clericalismo si è meglio chiarito con la “Lettera al popolo di Dio” del 2018, in cui viene definito dal papa come abuso di potere, di coscienza e sessuale. Una descrizione che fa risaltare la questione della emancipazione non solo delle donne, ma anche dei movimenti cristiani LGBT, che pongono una precisa domanda: “perché no?“, un perché no che senza chiedere favori mette l’accento su che cosa impedisca il loro pieno riconoscimento all’interno della Chiesa.
Fermo restando che per molti cattolici le pretese di donne e omosessuali aleggiano come una minaccia che tenta di scardinare le basi della tradizione (“tradizionalismo”, vedi sopra). Tornando alla questione del diaconato femminile, lo stesso papa riferendosi alla commissione da lui istituita ha ammesso come i risultati siano stati minimi, perché, dopo un primo momento di accordo, le varie parti hanno preso posizioni diverse nel momento in cui è stato toccato il nodo della questione. Vale a dire, come egli stesso ammette, quello di non poter emettere un decreto sacramentale che vada contro i fondamenti teologici e storici della Chiesa.
Il solito richiamo a un immobilismo della storia e dei dogmi che desidera mettere a tacere quella minaccia, cui si accennava prima, alle presunte verità di una tradizione (“tradizionalismo”) declinata solo al maschile.
Ma al di là di ogni discorso vi sono delle “vite” che urgono, nel caso specifico quello delle donne (ma potrebbero riferirsi come detto anche al mondo LGBT), che chiedono una visibilità e un riconoscimento di ruolo. Donne senza le quali l’impalcatura della Chiesa verrebbe a indebolirsi sensibilmente, pensando a tutti i compiti che in essa svolgono, non da ultimo quello di catechiste. Così importante come ha dimostrato lo sciopero da queste ultime promosso in Germania per sensibilizzare contro la subordinazione cui, nonostante tutto, sono ancora sottoposte.
Quindi la domanda posta al papa è come, andando oltre la Storia, che non può sempre essere termine di paragone legislativo, nell’oggi la vexata quaestio del diaconato possa essere risolta. Su tale soluzione anche all’interno del Coordinamento esistono pareri diversi. Per esempio, Cettina Militello propone di smantellare completamente il sistema attuale per crearne uno nuovo che formi una comunità al cui interno i ruoli siano giocati in modo differente. In tutti i casi, ogni visione espressa ribadisce l’urgenza di una vita al femminile che preme e cerca spazio: vita come “rivelazione”.
Memori di alcune figure femminili emblematiche della tradizione medievale: Giulia, celebrata in Corsica, a Livorno, Lucca, Modena e Brescia, santa crocifissa e quindi modello femminile di Cristo; e Wilgefortis, santa nordica, che come il “Volto Santo” di Lucca, viene rappresentata con la barba.
Ma quanto le stesse donne contribuiscono a mantenere in atto un modello di subordinazione al maschile? Quanto non hanno introiettato stereotipi culturali che le vedono in posizione subalterna? Quindi quanto non sono esse stesse le prime ad accettare e consolidare stili e prassi di vita che impediscono loro di accedere a determinati ruoli finora solo maschili?
Questioni molto attuali che investono la società nel suo complesso, dove il discutere della possibilità del diaconato femminile è una delle tante facce (fra le più significative soprattutto in un Paese come l’Italia dove la presenza della Chiesa nella vita sociale è molto forte) che il problema di una reale e consapevole emancipazione femminile pone.
* Giuseppina D’Urso fa parte del gruppo Kairos – Firenze, di Pax Christi Firenze e de La Tenda di Gionata