Una rete di famiglie con figli LGBT: Agedo
Testo di Alessandra Bialetti*, pedagogista sociale e Consulente della coppia e della famiglia di Roma, tratto dalla sua tesi di Baccalaureato su “Genitori sempre. Omosessualità e genitorialità”, Pontificia Università Salesiana, Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione salesiana – Facoltà di Scienze dell’Educazione, Corso di Pedagogia Sociale, Roma, anno accademico 2012-2013, capitolo 3, paragrafo 2.1
L’Agedo, Associazione di Genitori di Omosessuali, nasce nel 1992 e ha la sua sede nazionale a Milano. La genesi è da ricercare nella volontà di “fare rete” per sostenere i genitori, le famiglie e i parenti di persone omosessuali.
Paola Dall’Orto, fondatrice e presidentessa nazionale di Agedo, vivendo l’omosessualità del figlio, ha letto il bisogno di tanti genitori di comunicarsi e condividere le storie delle proprie famiglie senza timore di essere giudicati, fraintesi, condannati o, nella migliore delle ipotesi, compatiti. Il progetto dell’Associazione nasce, quindi, dal desiderio di connettere tra di loro famiglie che condividono una realtà che mai avrebbero pensato potesse toccarli: il problema è sempre di altri e coglie sempre impreparati.
Lo scopo è allora sostenere quei genitori che si trovano nella stessa situazione di disagio, disperazione, impotenza ma anche di ignoranza sul tema dell’omosessualità, entrato prepotentemente nella loro famiglia. La vision di Agedo è il credere che riuscire a supportare il genitore, e a modificare una mentalità chiusa e giudicante, aiuti non solo loro stessi ma soprattutto il figlio omosessuale ad accogliersi e valorizzarsi per ciò che è sentendosi amato e sostenuto proprio dal nucleo degli affetti più stretti. Il lavoro svolto nel tempo si è incentrato sulla creazione di un ambiente di vita accogliente e supportivo che riuscisse a rendere il figlio più sicuro di sé e della propria identità senza doversene vergognare, per poi aprirsi alle relazioni affettive e sociali con una forza interiore tale da affrontare le inevitabili difficoltà.
Occorre sottolineare che, a parte Agedo, non esiste in Italia un forte movimento che riunisca i familiari di omosessuali per il fatto che, troppo spesso, sono indotti alla vergogna e al senso di colpa da giudizi e pregiudizi sociali. Il genitore stesso si colpevolizza sentendosi di aver fallito, come persona e come genitore, nel proprio compito educativo, finendo, spesso, per condividere gli stessi pregiudizi contro gli omosessuali.[1]
Risulta chiaro il valore educativo che Agedo persegue cercando di rompere quel muro di omertà, paura e giudizio che grava sulle famiglie, spingendole all’isolamento e al nascondimento.
La diretta esperienza di madre di un figlio omosessuale, che si è scoperta priva di strumenti interpretativi ed operativi, ha spinto Paola Dall’Orto ad abbandonare, non senza fatica, i propri schemi mentali per schierarsi a fianco del figlio nella lotta contro la discriminazione sociale, percorso che nel tempo ha proposto ai genitori e familiari che vivono la stessa condizione.[2]
Dalla scoperta “casuale” dell’omosessualità del figlio, Paola Dall’Orto, percorrendo tutte le tappe di elaborazione di cui si è già parlato, ha iniziato un percorso di informazione, di conoscenza della realtà omosessuale e di comprensione di cosa stesse accadendo nella sua famiglia. Questo le ha permesso di giungere alla riscoperta di un figlio che mai aveva cessato di essere la persona che aveva sempre guidato, curato ed amato solo con una variante nell’orientamento sessuale che doveva godere di un riconoscimento ed inserimento sociale. Ha così raggiunto la consapevolezza che la diversità non stava nel figlio ma in se stessa e nella sua difficoltà di continuare ad amarlo, non in base ad una categoria, ma come persona completa con la sua affettività , spiritualità e fisicità.[3]
Agedo, sui passi della sua fondatrice, intende lavorare sull’accoglienza delle emozioni, paure, dubbi, timori, inadeguatezze dei genitori che scoprono l’omosessualità come realtà appartenente al loro nucleo familiare. La paura è un’emozione giustificabile e legittima, ma quando mette a repentaglio la qualità di vita del figlio ha bisogno di appoggio e sostegno per essere elaborata e per fare dei dubbi e timori un fattore creativo che spinga a cercare nuove strategie, nuove soluzioni, ma soprattutto un nuovo dialogo genitori-figli.
Secondo Agedo, il dialogo risulta essere uno strumento educativo di primaria importanza. Si cerca di motivare i genitori ad affrontare la realtà nella coppia, condividendo il peso della notizia, per poi aprirsi al figlio cercando di empatizzare con le più intime paure dovute principalmente agli ostacoli del mondo esterno.
Agedo propone un percorso di crescita ai genitori per poi poter ridisegnare i rapporti con i figli, investendo energie e risorse sulla rieducazione ai valori morali della sincerità ed onestà. Accogliendo la verità del figlio gli si da legittimazione e riconoscimento, sebbene con difficoltà e sofferenza, e lo si libera da una vita di menzogna, nascondimento e fuga.[4]
Agedo svolge una funzione educativa molto importante nei confronti dei genitori e della famiglia. Alla nascita l’associazione si componeva di poche persone che avevano vissuto il dolore della scoperta associato allo stigma sociale di risultare dei falliti agli occhi del mondo. I primi passi sono stati dettati dalla possibilità di incontrarsi per occuparsi di se stessi, delle proprie difficoltà e delle proprie paure.
Dopo una necessaria elaborazione personale, condivisa nel gruppo, Agedo ha compreso che non bastava il lavoro esclusivo su se stessi ma che occorreva lottare per un cambiamento di mentalità nel sociale in contesti in cui regnava, e regna tuttora, una cultura non agevolante se non addirittura omofobica. In questo modo Agedo si è trasformata in associazione di volontariato assumendo un valore sociale di estrema importanza.[5]
Dalla qualità di vita della famiglia dipende la vita dell’intera società in quanto la crescita della persona determina la crescita della comunità. [6] Agedo ha sempre creduto in questo assunto e l’ha reso operativo nella sua vita associativa rappresentando una risorsa sociale di particolare rilevanza.
I servizi che offre sono di varia natura: linee telefoniche in aiuto ai genitori; centri di organizzazione e sostegno per giovani ed adolescenti in difficoltà; 22 punti di ascolto presenti su tutto il territorio nazionale; gruppi di auto-mutuo aiuto; interventi diretti in situazioni di emergenza e disagio sociale legati alla condizione omosessuale; organizzazione di convegni, seminari e corsi di formazione per genitori, educatori ed insegnanti promuovendo l’educazione e il rispetto delle differenze; realizzazione di strumenti educativi e materiali di ricerca sulle tematiche inerenti a famiglia ed omosessualità in campo pedagogico, sociologico e psicologico.
I genitori e sostenitori dell’Associazione sono particolarmente attivi nella lotta contro ogni discriminazione sessuale a favore del riconoscimento dei diritti civili per omosessuali, bisessuali e transessuali in accordo con le direttive europee. A tale scopo Agedo collabora con l’Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali, dipartimento del Consiglio dei Ministri contro le discriminazioni.
Particolarmente interessante è l’attività svolta nelle scuole medie superiori in sinergia con i dirigenti scolastici cui è stato chiesto di inserire nel Piano di Offerta Formativa, progetti di formazione e informazione sul tema del rispetto delle diverse identità e dell’orientamento sessuale. In molti istituti scolastici Agedo si è resa protagonista di progetti-pilota attraverso corsi di aggiornamento per docenti, e gruppi di studio per studenti, sul bullismo omofobico e sulla diversità.[7]
Agedo si pone altresì l’obiettivo della formazione dei genitori sostenendo che siano impreparati all’ipotesi di mettere al mondo un figlio e una figlia omosessuale e ad essere chiamati ad accoglierlo con lo stesso amore, attenzione e cura riservato ad un figlio eterosessuale.
L’educazione alla diversità dovrebbe far parte di qualsiasi percorso alla genitorialità per sostenere chi, non preparato in modo idoneo a confrontarsi con questo, si trova disorientato e confuso davanti a ciò che la scienza considera una variante della sessualità umana anche se fortemente discriminata.
Genitori informati, sostenuti da istituzioni e media, possono diventare la vera risorsa nel cammino dei figli rigettando pregiudizi, dovuti spesso all’ignoranza della realtà, e aprendo spiragli di serenità per se stessi, le altre famiglie e l’intera società guidata a nutrire meno paure.[8]
Nella prospettiva pedagogica, la formazione dei genitori si propone di agire sulle risorse della coppia parentale per accrescerne le capacità educative e rafforzarne l’autonomia e la competenza oltre alle risorse già esistenti nel nucleo familiare. Lo scopo è di realizzare una lettura approfondita della vita dei figli per comprenderne lo sviluppo, la causa dei comportamenti e gli effetti che gli atteggiamenti dei genitori stessi producono sui figli.[9]
Agedo si inserisce in tale linea pedagogica cercando di sostenere l’intero processo genitoriale e familiare attraverso la forma metodologica più diffusa rappresentata dalla discussione in piccoli gruppi, che poi assume la forma di un auto-mutuo aiuto. Il gruppo consente il confronto diretto sull’esperienza, sugli interessi, sui timori, sui sensi di colpa dei partecipanti senza fermarsi ad una condivisione di vissuti che rischi di cadere nell’autocommiserazione. Lo scopo è di implementare le risorse della famiglia nell’accogliere e sostenere la vita dei propri figli.
Per la trattazione di questo paragrafo si è preso contatto diretto con la vita dell’Associazione partecipando a vari incontri e raccogliendo le testimonianze dei genitori. In questo modo si è potuto verificare e apprezzare l’applicazione della metodologia di gruppo e i benefici che tale percorso ha generato nella consapevolezza dei genitori di potere essere risorse supportive per i loro figli.
Metodologicamente Agedo applica la strategia dell’approccio narrativo. La possibilità di narrarsi, scendere nella propria esperienza, elaborare il vissuto raccontando la propria storia e prendendo contatto con il sé più profondo, costituisce un processo psicosociale in cui il soggetto diventa parte attiva nel cammino di consapevolezza e assunzione di responsabilità sulla propria vita.[10]
Le persone creano una sorta di life story per dare senso e coerenza alla propria esperienza. Attraverso la narrazione reciproca si da senso e coerenza alla propria esistenza e si genera una condivisione di emozioni, vissuti, sentimenti in cui ognuno può ritrovare se stesso e individuare, accogliendo i racconti degli altri, nuove vie operative per un proprio percorso di cambiamento.
L’esplorazione che si compie nell’approccio narrativo, permette di rendere esplicite le credenze, le paure, i dubbi che la persona nutre nei confronti dell’omosessualità. Lo scopo non è quello di scoprire una verità ma di costruire una narrazione personale che permetta di avvicinarsi alla realtà della persona omosessuale, di non negarla ma di ascoltarla, imparando a dialogarci in gruppo e in famiglia.[11]
La forza della condivisione in gruppo genera un clima di accoglienza e sostegno delle difficoltà, e favorisce l’uscita dal clima di isolamento, vergogna e colpevolizzazione che, inizialmente, rappresenta l’unico orizzonte relazionale del genitore. Dalle testimonianze raccolte, nei genitori esiste un forte bisogno di poter condividere il dolore incamminandosi poi, insieme, verso un percorso di normalizzazione e normalità.
I genitori di Agedo hanno sempre sottolineato e sofferto la mancanza di una cultura omosessuale che li potesse avvicinare ai loro figli. Avere un gruppo cui fare riferimento per assumere informazioni e conoscenze di base, rappresenta una risorsa importante e utile. Spesso il pregiudizio superato in famiglia dopo tante fatiche, si scontra con la realtà della famiglia allargata, degli amici e della società.
L’impossibilità di dire la verità, perché contraria al pensare comune, rischia di produrre nei genitori una regressione che li spinge di nuovo a nascondersi o a negare. Il gruppo rappresenta quel contenitore di emozioni in cui riversare la propria sofferenza ma anche sperimentare la possibilità di cambiare se stessi e il contesto sociale intorno, per una buona qualità di vita sia propria che dei figli stessi.
Il gruppo diventa altresì il luogo dove elaborare il proprio lutto circa la perdita del sogno di “normalità” del figlio e della famiglia per avviarsi ad accogliere anche la nuova vita affettiva e sentimentale del figlio nella persona di un compagno o di una compagna che, secondo quanto affermano i genitori, diventa nel tempo un sostegno e una sicurezza per il genitore stesso. Condividere un cammino rende più forti, sicuri e resistenti alle opposizioni esterne: insieme i genitori compiono il passaggio dalla cura di sé alla cura di una società in cui veder riconosciuta pienamente l’esistenza dei propri figli, sia a livello umano che civile.
Un’emozione molto forte da elaborare, sia personalmente che come gruppo, è la presunta morte del figlio: per la società e forse anche per la famiglia allargata e gli amici, si può verificare una negazione della persona insieme alla questione dell’omosessualità. Spetta allora ai genitori il compito di rendere vivo il proprio figlio rompendo quel clima di isolamento e pregiudizio che lo circonda.
La persona omosessuale vive una condizione particolare: prima del coming out viene ritenuta “normale” e sana, dopo la rivelazione improvvisamente viene guardata con diffidenza e considerata spesso malata. In questo passaggio si colloca il compito educativo del genitore che Agedo si adopera per sostenere fornendo quegli strumenti operativi, e quella consapevolezza emotiva, per essere garanti dell’esistenza del figlio e poter ricorrere ad una rete di supporto nell’affrontare le difficoltà.
I genitori di Agedo sono concordi nel ritenere che, senza il momento doloroso ma necessario del coming out, si rischia di perdere il contatto con il figlio in quanto ci si relaziona ad una persona portatrice di peculiarità tali che, per essere guidate alla realizzazione, necessitano di ascolto, chiarezza e verità. Senza il coming-out, momento di dialogo e incontro profondo, si perde il contatto e la relazione autentica tra genitori e figli.
Il percorso del figlio deve essere senz’altro centrale e occorre esser consapevoli che la sofferenza maggiore è proprio il dover mentire, nascondersi e negarsi laddove si dovrebbe sperimentare invece tutto il supporto, l’amore e la cura necessari. Molti genitori parlano della fase del coming out come un momento di ritrovamento e riscoperta del proprio figlio e come un atto d’amore e di fiducia nei loro confronti come guide.
Senza la verità è proprio il genitore a perdere qualcosa del figlio, non accogliendolo e valorizzandolo per ciò che è e mistificando il rapporto con lui. Il coming out ha rappresentato per molti genitori un momento di crescita personale, un’occasione per rivedere se stessi, i propri valori, i propri pregiudizi scoprendosi, a volte, molto meno aperti e disponibili di quanto si credeva, forti del fatto che una simile realtà fosse per loro lontana e non li riguardasse. I genitori hanno così potuto prendere coscienza del fatto di essere loro stessi a dover cambiare e Agedo ha rappresentato quello stimolo a guardarsi dentro e a modificare schemi, modelli e interpretazioni individuando nuove vie operative.
Frutto di questo lungo cammino di elaborazione e condivisione è stato, spesso, la nascita di una nuova relazione con il figlio, una relazione autentica basata sulla verità di ciò che si è, di ciò che si prova e di ciò di cui si ha bisogno dall’altro per poter compiere il proprio cammino di realizzazione.
Genitori e figli dichiarati apertamente, secondo Agedo, sono una speranza per chi ancora non ce la fa a rompere un clima di omertà, paura e dolore, e per chi ha bisogno di essere supportato e vedere negli occhi e nella vita dell’altro, oltre che le proprie stesse paure, anche la gioia di averle superate e potersi mettere al servizio dell’intera comunità.
Il cammino di Agedo rappresenta una grande risorsa nel campo dell’empowerment familiare: permette di rendere ragione di un vissuto doloroso, di tessere un lavoro di rete tra singoli, famiglie e società e di interagire con i vari agenti sociali e con le istituzioni.
Tutto questo rende possibile un reale cambiamento e crescita della genitorialità realizzando una flessibilità e apertura tale da permette di incontrare l’altro per quello che è e lottare perché sia riconosciuto e inserito, a pieno diritto, nel tessuto sociale.
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[1] Cfr. P. RIGLIANO, Amori senza scandalo, p. 25.
[2] Cfr. A. DI LUOFFO, Educazione al rispetto delle omosessualità, p. 130.
[3] Cfr. Ibidem, p. 131.
[4] Cfr. A. DI LUOFFO, Educazione al rispetto delle omosessualità, p. 134.
[5] Cfr. G. DALL’ORTO – P. DALL’ORTO, Mamma, papà: devo dirvi una cosa, p. 186.
[6] Cfr. S. PAVIĆ in G. QUINZI – L. PACE (a cura di), L’imprescindibile esigenza di educare, p. 128.
[7] Cfr. G. DALL’ORTO – P. DALL’ORTO, Mamma, papà: devo dirvi una cosa, p. 187.
[8] Cfr. V.M. BORELLA, Volti familiari. Vite nascoste. Comprendere e accettare un figlio omosessuale, p. 83.
[9] Cfr. D. SIMEONE, Educare in famiglia: indicazioni pedagogiche per lo sviluppo dell’empowerment fami-liare, p. 194.
[10] Cfr. C. CHIARI – L. BORGHI, Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali, p. 61.
[11] Cfr. M. CASTAÑEDA, Comprendere l’omosessualità, p. 52.
* Alessandra Bialetti, vive e opera a Roma come Pedagogista Sociale e Consulente della coppia e della famiglia in vari progetti di diverse associazioni e realtà laiche e cattoliche. Il suo sito web è https://alessandrabialetti.wordpress.com