Una riflessione su omosessualita’ e vita consacrata
Brani tratti da “La promessa di vita“, lettera all’Ordine Domenicano di Fr Timothy Radcliffe OP*, 25 febbraio 1998
Fr. Timothy Radcliffe è un teologo domenicano, frate della Provincia d’Inghilterra ed è stato Maestro Generale dell’Ordine Domenicano dal 1992-2001. In qualità di Maestro dell’Ordine dei domenicani scrisse questa lettera destinata all’ordine su cui riflette, con grande umanità, sul valore della vita apostolica, della vita affettiva e di preghiera del cammino domenicano e dove affronta, con grande chiarezza, lo scottante tema dell’ammissione delle persone omosessuali alla vita religiosa.
ESTRATTO DA “LA PROMESSA DI VITA”
[…] Ogni persona saggia ha sempre saputo che non c’è cammino, che conduce alla vita, che non passi attraverso il deserto. Il viaggio dall’Egitto alla Terra Promessa passa attraverso il deserto. Se vogliamo essere felici e pieni di vita, dobbiamo fare quella strada.
Abbiamo bisogno di comunità che ci accompagnino in quel viaggio e ci aiutino a credere che, quando il Signore conduce Israele nel Deserto, è perché Egli “possa parlargli teneramente” (Os 2, 16).
Forse per questo tanti hanno lasciato la vita religiosa durante gli ultimi trent’anni, non perché essa era più dura di prima, ma perché abbiamo perso di vista che le notti oscure fanno parte della nostra rinascita come di persone che vivono con la gioia del Regno. Così le nostre comunità dovrebbero essere non soltanto “luoghi” ove sopravvivere solamente, ma posti dove trovare cibo per il nostro cammino.
Per usare una metafora che ho già sviluppato altrove, [3] le comunità religiose sono come un sistema ecologico, fatte apposta per sostenere strane forme di vita. Una rana di una rara specie ha bisogno di un appropriato ecosistema per prosperare, e riuscire a riprodursi dalle uova i girini sino alle rane adulte, nonostante tutte le difficoltà.
Se la rana è minacciata di estinzione, allora si deve costruire per essa un ambiente appropriato, con il cibo, gli stagni e il clima adatto nel quale essa possa prosperare. Anche la vita Domenicana richiede il suo ecosistema appropriato, se vogliamo viverla pienamente e predicare una parola di vita. Non basta parlarne; dobbiamo progettare e costruire attivamente tali ecosistemi domenicani.
Questa è, innanzitutto, la responsabilità di ciascuna comunità. Sta ai fratelli e alle sorelle che vivono insieme creare comunità nelle quali possiamo non solo vivere ma prosperare, offrendo gli uni agli altri “il pane della vita e l’acqua del cielo”. questo lo scopo principale del “progetto comunitario” proposto dagli ultimi tre Capitoli Generali.
Questo potrà avvenire se abbiamo il coraggio di parlarci su quello che ci sta più a cuore come esseri umani e come domenicani. La mia speranza è che questa lettera all’Ordine possa aprire la discussione di alcuni aspetti della vita Domenicana.
Rivolgerò la mia attenzione alla vita apostolica, la vita affettiva e la vita di preghiera. Non sono tre parti di ciascuna vita (Vita Contemplativa: dalle 7 alle 7, 30; Vita Apostolica: dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio; e la Vita Affettiva?). Esse appartengono alla pienezza di ogni vita che è veramente umana e domenicana.
Nicodemo domanda: “Come uno può rinascere?” Questa è anche la nostra domanda: Come possiamo aiutarci a vicenda, dovendo affrontare una trasformazione, in modo da diventare apostoli di vita.
Non ogni comunità sarà capace di rinnovarsi, e conseguire l’ideale previsto dalle nostre Costituzioni e dai recenti Capitoli Generali. La provincia dovrà perciò sviluppare un programma di graduale rinnovamento delle comunità nelle quali i confratelli possano fiorire.
È solo a queste comunità che i giovani confratelli dovrebbero essere assegnati. Essi porteranno la semente della vita domenicana futura. A meno che non faccia dei programmi per costruire comunità di questo tipo, la provincia morirà.
Una provincia con tre comunità nelle quali i confratelli fioriscono nella loro vita domenicana ha un futuro, con la grazia di Dio. Una provincia con venti comunità nelle quali soltanto si sopravvive non può avere futuro. […]
Comunità e orientamento sessuale
E’ qui che le differenze culturali si possono vedere in modo lampante. E’ necessaria una grande delicatezza, se dobbiamo evitare sia di scandalizzare che di ferire i nostri confratelli e consorelle. In alcune culture, l’ammissione di persone di orientamento omosessuale alla vita religiosa è virtualmente impensabile. In altre la si accetta senza obiezioni.
E’ probabile che qualsiasi cosa che venga scritta a proposito di questo argomento, venga esaminata per vedere se si è ‘a favore’ o ‘contro’ l’omosessualità. Questo è un problema sbagliato. Non tocca a noi dire a Dio chi egli possa o non possa chiamare alla vita religiosa.
Il Capitolo Generale di Caleruega affermò che le stesse richieste di castità si applicano a tutti i confratelli di qualsiasi orientamento sessuale, per cui nessuno può venire escluso per questo motivo. Ci fu un grosso dibattito a Caleruega su questa questione, e sono sicuro che continuerà. Come possono le nostre comunità appoggiare e sostenere i confratelli, quando questi affrontano il problema del loro orientamento sessuale?
Dobbiamo dapprima riconoscere che questo tocca profondamente il nostro stesso senso di chi noi siamo. Perciò questo è un problema delicato e importante per molti giovani che entrano a far parte dell’Ordine, per due ragioni. Anzitutto vi è spesso una fame profonda di identità.
Per molti giovani la domanda che stronca è: “Chi sono io?” In secondo luogo, a causa della prolungata adolescenza che caratterizza oggi molte culture, il problema dell’orientamento sessuale è sovente non risolto fino a tardi. Qualche volta riceviamo richieste di dispensa da confratelli, perché solo tardi nella vita hanno capito che sono fondamentalmente eterosessuali e perciò atti al matrimonio.
Se un confratello arriva a credere di essere omosessuale, allora è importante che conosca che è accettato e amato così com’è. Può vivere nel terrore del rifiuto e dell’accusa.
Ma questa accettazione è pane per il viaggio, verso la scoperta di una identità più profonda, come figlio di Dio. Perché nessuno di noi, eterosessuali o omosessuali, può trovare la propria identità più profonda nel proprio orientamento sessuale. hi noi siamo nel più profondo di noi stessi, dobbiamo scoprirlo in Cristo.
“Carissimi, noi ora siamo figli di Dio; però non appare ciò che saremo, ma sappiamo che quando egli apparirà, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3, 2).
Mediante i nostri voti, noi ci impegniamo a seguire Cristo, e a scoprire la nostra identità in lui. Appartiene alla nostra povertà di essere trasportati al di là di queste minute identità.
“Alla radice di ogni altra possessività vi è il desiderio possessivo ultimo di essere se stesso: il desiderio che ci sia al centro di me stesso non quell’innominabile abisso, nel quale come in un vuoto, il Dio senza nome è inevitabilmente tratto, ma una identità che io possiedo, una identità che è definita dal mio possesso di essa” [32].
Qualsiasi confratello che renda il proprio orientamento sessuale centrale alla sua identità pubblica, fraintenderebbe chi egli è nel più profondo di se stesso. Si fermerebbe su una strada laterale, mentre è chiamato a dirigersi verso Gerusalemme.
Ciò che è fondamentale è che possiamo amare e così essere figli di Dio, non verso chi siamo sessualmente attratti. Ma questo non concerne solo il senso personale di identità di un individuo.
Abbiamo una identità come confratelli e consorelle, gli uni verso gli altri. Siamo responsabili per le conseguenze verso i nostri confratelli di come noi ci presentiamo, specialmente in un’area così delicata come quella dell’orientamento sessuale.
Per cui, ogni confratello deve essere accettato così com’è. Ma l’emergere di qualsiasi sottogruppo all’interno di una comunità, basato sull’orientamento sessuale, risulterebbe altamente discriminatorio.
Può minacciare l’unità della comunità; può rendere più dura per i confratelli la pratica della castità che abbiamo professato. Può far pressione sui confratelli a pensare di se stessi in un modo che non è centrale alla loro vocazione come predicatori del Regno, e che forse possono alla fine scoprire come non autentico.
__________________________
[3] The Identity of Religious today, The Conference of Major Superiors of Men, USA, 1996
[32] Rowan Williams, Open for Judgement, Londra, p. 184
* Timothy Radcliffe, OP (Londra, 1945) è un teologo domenicano, frate della Provincia d’Inghilterra ed ex Maestro Generale dell’Ordine Domenicano (1992-2001).
Ha al suo attivo diverse pubblicazioni tradotte e pubblicate anche in Italia, tra cui segnaliamo: Il punto focale del cristianesimo. Che cosa significa essere cristiani? (San Paolo Edizioni – 2008), Amare nella libertà. Sessualità e castità (Qiqajon, 2007), Testimoni del vangelo (Qiqajon, 2004), Cantate un canto nuovo. La Vocazione cristiana (EDB, 2002)