Una riflessione teologica sul Covid 19. La tentazione del credente
Riflessioni del gesuita Gerry O’Hanlon SJ pubblicate sul mensile Working Notes (irlanda), Vol. 34, fascicolo 87, ottobre 2020, pp.49-57, parte quinta
Per i credenti, la tentazione sempre presente è di spiritualizzare, di teorizzare, di essere totalmente avulsi dalla realtà a favore di un più ordinato mondo di idee, separando le domeniche dal resto della settimana, la chiesa, intesa come edificio, dal resto delle nostre vite, di regredire ad una nozione di significato che punti tutto sulla carta della prossima vita. C’è un rischio inevitabile nel mettere alla prova l’ammonizione di Gesù che il Regno di Dio è adesso. Ma è una prova a cui i credenti non possono sottrarsi.
Dal rivoluzionario ritorno alle sue fonti durante il concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica ci ha continuamente spronati a condividere la nostra responsabilità per il mondo come è ora. La crisi del Covid-19 ci ha dato l’opportunità, con il periodo di sofferenza e disorientamento che stiamo affrontando, di re-immaginare la nostra situazione e di impegnarci nuovamente per creare, con l’aiuto infallibile di Dio, un mondo nuovo e migliore.
I non credenti e le persone di buona volontà avranno la loro opinione su ciò che sta accadendo. Considerando la storia recente di quest’isola (l’Irlanda), potrebbero non gradire l’intromissione delle fonti cristiane. Ma questa è una crisi che ci coinvolge tutti e non è saggio rifiutare la luce, da qualunque parte arrivi, soprattutto perché dobbiamo essere tutti uniti per sopravvivere a questa sfida. Ci vuole troppa fatica per tenere separato il credente dall’incredulo convinto.
Per esempio, l’assioma laicista della dignità di ogni essere umano, sul quale si basa il diritto umano universale, riceve il suo sostegno fondante dalla convinzione cristiana che tutti, uomini e donne, sono creati ad immagine e somiglianza di Dio. Ma questo tipo di arricchimento reciproco è possibile solo se c’è un dialogo costante e rispettoso. Un dialogo in cui emergeranno differenze e punti comuni in un modo che il liberalismo pluralista al suo meglio è abituato fare suo.
Uno di questi punti di convergenza può essere il bellissimo poema della defunta Eavan Boland intitolato Quarantena, in cui si narra di una coppia cacciata dalla workhouse “… Nell’ora peggiore della stagione peggiore, dell’anno peggiore di un intero popolo”. Camminavano insieme. “Lei era malata per la febbre da carestia e non riusciva a tenere il passo. Lui la sollevò e la mise sulla schiena” ma “al mattino entrambi furono trovati morti.
Di freddo. Di fame. Delle tossine di un’intera storia. Ma i piedi di lei premevano contro il suo sterno. L’ultimo calore della sua carne fu il suo ultimo dono per lei”. La Boland va avanti ad osservare e conclude:
Non c’è posto qui per l’inesatta
lode alle facili grazie e alla sensualità del corpo.
C’è solo tempo per questo impietoso inventario:
La loro morte insieme nell’inverno del 1847.
E quello che hanno sofferto. Come hanno vissuto.
E cosa c’è tra un uomo e una donna.
E in quale oscurità essa può essere messa alla più dura prova.
Tutti possiamo essere commossi dalla bellezza e dalla nobiltà di questa immagine di ciò che significa essere umani. Ma il credente può anche leggere questo periodo di pianto come un indizio della gloria dell’amore divino, personificato in Cristo crocifisso e risorto, fonte di speranza, di gioia e sprone per un mondo migliore.
Testo originale: Any Light in Darkness? A Theological Reflection on Covid-19