Una riflessione teologica sul Covid 19. Le domande che ci pone
Riflessioni del gesuita Gerry O’Hanlon SJ pubblicate sul mensile Working Notes (irlanda), Vol. 34, fascicolo 87, ottobre 2020, pp.49-57, parte seconda
Lasciatemi iniziare menzionando i due maggiori temi che interessano oggi sia credenti che non-credenti. Per primo, c’è la ricerca di uno sviluppo umano armonico. Qui si può vedere facilmente che c’è un ampio terreno di convergenza tra tutti i partecipanti a questa ricerca, siano religiosi o meno. Le grandi fedi del mondo, incluse le varie tradizioni del cristianesimo, hanno sviluppato tutte discorsi etici e dottrinali che possono essere fonte di riflessioni condivise e azioni con i non-credenti come persone che perseguono il benessere, individualmente e collettivamente.
La tradizione della dottrina sociale della Chiesa si inserisce in queste categorie e si pone come una ricca e antica fonte di critica alla cultura dell’individualismo e dell’autonomia associata al paradigma economico neoliberista che sembra così disperatamente carente alla luce del Covid-19. Essa ha contrastato per decenni la visione etica ridotta all’osso del neoliberismo, proponendo invece solide nozioni di bene comune, solidarietà effettiva e opzione preferenziale per i poveri. Questa critica è culminata recentemente nel manifesto ambientale di papa Francesvo, Laudato Si’, in cui chiede una “ecologia integrale” e una “conversione ecologica” supportata da prove scientifiche secolari.
In secondo luogo, la pandemia ha spinto molti – a prescindere dalla propria confessione di fede – a cercare significati più profondi negli eventi che stiamo affrontando. La ricerca può anche non arrivare ad una conclusione religiosa, ma tocca invariabilmente questioni religiose.
Il Covid-19 mette i credenti davanti a quella che si è definita una questione di teodicea: come si giustifica l’esistenza di un Dio buono quando c’è così tanto male nel mondo?
Questa domanda – che, nella Bibbia ebraica, è al centro del libro di Giobbe – è una di quelle in cui sembra che i non-credenti abbiano la meglio. Basti pensare all’Ivan de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij la cui indignazione contro la sofferenza innocente, specialmente dei bambini, è così difficile da conciliare con l’esistenza di un Dio onnipotente e buono.
Eppure, di solito non diamo per scontati significato e scopo dell’esistenza mentre viviamo la nostra vita quotidiana e pianifichiamo il nostro futuro e quello dei nostri figli? Ha senso se l’intero significato che troviamo, costruiamo o che sperimentiamo in altro modo, viene superato dalla sofferenza e dalla morte? E come possiamo rendere conto delle nostre esperienze umane di bellezza, verità, bontà, amore oblativo, giustizia, con i loro accenni di un senso e di un significato più eterni, senza Dio?
I credenti hanno bisogno di ascoltare attentamente le obiezioni di chi non crede per eliminare immagini di Dio necessariamente limitate e talvolta gravemente erronee. Eppure i non-credenti devono capire che non c’è nessun nessun argomento o prova decisiva sulle questioni di significato profondo. La pandemia ci spinge tutti a dare conto della speranza che è dentro di noi.
Sono questi due importanti campi che ci interessano, anche se non sempre siamo d’accordo, a cui i partecipanti della discussione guardano per dare senso alla nostra attuale crisi. Adesso comunque vorrei chiedermi come potrebbe essere una narrazione più teologicamente centrata su Dio nell’era di una pandemia. Mentre i credenti si interrogano su benessere e teodicea, le loro storie ruotano attorno a Dio. La mia speranza è che i non credenti si sentano i benvenuti e partecipino a questo dibattito.
Testo originale: Any Light in Darkness? A Theological Reflection on Covid-19