Una riflessione teologica sul Covid 19. Le nostre risposte
Riflessioni del gesuita Gerry O’Hanlon SJ pubblicate sul mensile Working Notes (irlanda), Vol. 34, fascicolo 87, ottobre 2020, pp.49-57, parte terza
La nostra risposta: sviluppo e lamento. Teologia e spiritualità devono interagire con ciò che è reale se vogliono evitare la tentazione, sempre presente, di un astratto spiritualismo. Uno degli aforismi più utilizzati da papà Francesco è che le cose reali sono più grandi delle idee. Nel contesto odierno, allora, abbiamo bisogno di prendere seriamente l’esperienza del lutto e del lamento, della perdita, personale e comunitaria, che è fulcro della nostra angoscia per il Covid-19.
In un’utile riflessione sui termini letterari delle lamentazioni nella Bibbia (e più precisamente nei Salmi), il teologo nordamericano Bradford Hinze identifica diverse fasi. È un grido a Dio perché ascolti e risponda; offre testimonianza di una sofferenza personale e collettiva nella forma di compianto, dolore, frustrazione e disperazione; esprime la pena per aspirazioni e intenzioni frustrate; evidenzia dolore, tensione, rabbia, spreco di energia e torpore.
Il lamento è la risposta di persone che stanno soffrendo ciò che Walter Brueggemann ha giustamente descritto come “disorientamento”. Ciò che da forza alla forma letteraria della lamentazione sono due domande fondamentali: perché e per quanto tempo? Questo implica una triplice relazione – l’io o il noi che si lamenta; Dio, a cui ci si rivolge; e “l’altro”, identificato come il nemico, che è responsabile del motivo del lamento che implica una lotta con queste relazioni e “con la visione limitata e distorta di sé, della comunità, degli altri e persino di Dio date dalle situazioni di sofferenza”.
Hinze nota che questo porre domande liminali chiama tutti (incluso Dio) in causa. Realtà come pietà e rabbia, retribuzione e rimorso emergono in un modo che si confronta con il mistero e il nascondimento di Dio, e può portare non a tossine mortali ma ad una forma più vera di amore-in-azione e ad una comprensione più pura dell’identità di sé, degli altri e di Dio. Egli nota anche che è troppo semplice supporre che il Nuovo Testamento, con la venuta di Gesù, sia caratterizzato dall’assenza della lamentazione. Infatti, non è così.
Hinze pone, come centrale, il grido di Gesù sulla croce in Marco e Matteo, che fa’ eco al salmo 22:1-2, “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46), come la convinzione di Paolo che “tutta la creazione geme” (Romani 8:22) per le doglie della nuova vita del nostro pianeta. L’uomo che si lamenta con sofferenza sulla croce, continua Hinze, “sta soffrendo le conseguenze della risposta ai lamenti del popolo di Dio”.
Per ultimo, Hinze considera la secolare tradizione cristiana conosciuta come la “notte oscura dell’anima” che descrive come spesso ci troviamo in una profonda impasse. In questo stato mentale, ci si sente come se la vita avesse imboccato un vicolo cieco da cui non c’è via d’uscita, in cui le possibilità di sono assottigliate fino a diventare nulle, e l’individuo sperimenta un’alienazione schiacciante, e affronta la prospettiva della disintegrazione psicologica, del crollo e dell’autoinganno.
Hinze osserva che da ciò possiamo trarre le implicazioni per la comunità e la consapevolezza collettiva: le fonti cristiane aiutano le comunità quando si trovano costrette a mettere in discussione la propria identità, la direzione da prendere, la loro efficacia e il loro valore.
Durante questi periodi di impasse ci sono un’oscurità e una morte che, non di meno, possono essere una sorta di incubatrice per la speranza e un suolo fertile nel quale il potere di Dio può operare nell’immaginario, e portare a nuove idee per la società.
La nostra risposta positiva a queste situazioni difficoltose verrà facilitata accostandoci alla crisi in un atteggiamento di lamentazione biblica. Valutare in questo modo la situazione che stiamo affrontando è una sorta di “discernimento degli spiriti” ed è caratteristico della tradizione ignaziana in cui si esplorano le potenzialità positive della desolazione. In questo modo possiamo cercare di evitare l’indulgenza della rabbia fine a se stessa e, invece, attingere al suo potenziale per trovare risposte costruttive all’ingiustizia.
Questa lettura scritturale e teologica delle lamentazioni spiana un terreno in cui si può riconoscere l’orrore di ciò che si sta svolgendo davanti a noi con il Covid-19 in questo surreale periodo di esilio, quando tanti punti di riferimento personali e sociali sono compromessi o vengono addirittura meno.
Si deve evitare una facile spiritualizzazione e non bisogna accontentarsi della nozione di religione come “l’oppio dei popoli”; il passo successivo è quello di seguire i suggerimenti più significativi e portatori di speranza. Restano da esplorare queste possibilità.
Testo originale: Any Light in Darkness? A Theological Reflection on Covid-19