Una risata vi seppellirà: il Natale e la forza rivoluzionaria del riso
Riflessioni di Mario Bonfanti* pubblicate sul blog della comunità MCC Il Cerchio l’11 dicembre 2019
“La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!” è una frase dalla paternità incerta. Nasce come motto anarchico nell’Ottocento e alcuni ritengono che a pronunciarla per primo sia stato Michail Bakunin. In Italia apparve per la prima volta sui muri della facoltà di Lettere dell’Università di Roma e divenne il motto del movimento del 1977.
Il riso… nel pensiero greco
Ma se andiamo ancora più indietro nel pensiero occidentale troviamo che il tema del riso ha suscitato l’interesse dei filosofi (e non solo) fin dall’antichità.
Per esempio, per Democrito (460 – 370 a.C.), il riso ha una valenza molto profonda: è un’arma filosofica potente. L’esistenza umana ci appare priva di senso, è buffa, imprevedibile (per intervento della casualità); bisogna dunque imparare a ridere. Scriveva il filosofo: “Nessuno di noi conosce alcunché, non sappiamo neanche se sappiamo o se non sappiamo”. Tale posizione rivela un intento critico verso ciò che si impone come conoscenza certa, stabile, universale. Quello di Democrito è un monito contro la tracotanza e la presunzione.
Pur collocando la commedia tra i generi letterari di grado inferiore, il grande pensatore greco Aristotele (384 – 322 a.C.), nella sua Poetica, ammette il riso, ma solo se opportunamente dosato, poiché se viene esercitato con eccessiva frequenza e reiterata abitudine risulta degradante per l’uomo.
La scolastica e la condanna del riso
Se il mondo greco si mostra benevolo verso il riso e i suoi effetti, il pensiero cristiano arriva nei secoli a condannare senza appello ogni sua sfumatura. Il riso viene interpretato da molti autori della scolastica (tra il X e il XIII sec. d. C.) come leggerezza inaccettabile; e dunque viene bandito dai monasteri, perché giudicato espressione di chi è privo di contegno. Si assiste, addirittura, a una sua demonizzazione: il riso distoglie dalla preghiera e dalla meditazione, e quindi allontana da Dio. Da qui la sottolineatura che i vangeli non dicono che Gesù abbia riso; quindi, non rideva. E, allora, un bravo cristiano non deve mai ridere. Perché il riso – come dice il venerabile Jorge ne Il nome della rosa – “uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede” .
Forse è da qui che derivano alcune frasi che mi sono sentito spesso ripetere in certi ambienti ecclesiastici: “Ma ridi più piano!”, o ancora: “Non ridere in modo così sguaiato” o addirittura: “Ma si può sapere cosa hai sempre da ridere?”. Anche il proverbio latino tramanda di generazione in generazione questa diffidenza: “risus abundat in ore stultorum” (= chi ride spesso è sciocco).
Rinascimento, Modernità e… rivalorizzazione della risata
Nel Rinascimento il riso ha il suo momento di gloria. Lo scrittore Rabelais (1494 – 1553) ne sottolinea la funzione rivoluzionaria e dissacrante. Per lui il riso vince la paura esorcizzandola, scioglie ogni tensione, rassicura e conforta gli animi. Erasmo da Rotterdam (1466 – 1536), nel suo capolavoro di umorismo l’Elogio della Follia, parla del “saggio folle” che guida gli uomini e li illumina sugli aspetti più risibili dell’esistenza.
Nella Modernità Pascal (1623 – 1662) afferma che il riso smaschera il fatuo e l’inutile. E secondo Kant (1724 – 1804) il riso ha una funzione terapeutica: produce armonia tra mente e corpo. Forse da qui viene il detto: “Il riso fa buon sangue”?
Gesù, il buontempone
Ma – tornando al cristianesimo – è proprio vero che Gesù non rideva?
Se è vero che nei Vangeli non si racconta di episodi in cui Gesù scoppia a ridere, è anche vero che si dice con chiarezza e più volte che partecipava a nozze e banchetti. E sicuramente in quelle circostanze non se ne sarà stato – certo – serio in disparte a pregare. Anzi, si intuisce molto bene dai racconti che gli piaceva divertirsi nelle feste. Quindi sicuramente avrà ballato, cantato… e anche riso.
Dio ride
D’altro canto Gesù era ebreo e intriso dello spirito biblico. E nella Bibbia il riso e l’ironia sono molto presenti. E sono addirittura una delle caratteristiche di Dio.
Infatti Abramo chiama il suo primogenito Isacco, che significa appunto “Dio ride”; Mosè e Aronne benedicono il popolo augurando loro: “Dio rida verso di voi e vi sia propizio”; e i Salmi, in diversi passi, dicono che Dio si affaccia dalle nubi del cielo per guardare la terra, e ride.
Così quando l’angelo Gabriele va da Maria, la saluta dicendole: “Ridi. JHWH è con te” (Luca1:28). Allo stesso modo, apparendo nella notte ai pastori, l’angelo dice loro: “Non temete. Ridete: oggi è nato il salvatore” (Luca 2:10).
L’ironia biblica
Ci sono, poi, nella Bibbia alcuni racconti che sono dei veri e propri capolavori di ironia e facevano sicuramente piegare in due dalle risate gli ascoltatori.
Basti pensare al racconto di Elia che minaccia il re dicendo: “Per la vita di JHWH Dio di Israele nei prossimi anni non ci saranno più né pioggia né rugiada, fin quando lo dirò io” (in stile “Giucas Casella”), e poi che succede? Il re va avanti a mangiare e a bere, e invece Elia rischia di morire di sete a causa della sua profezia, e deve andare a elemosinare qualcosa da una vedova straniera e impura.
Oppure come non ridere di fronte ai capricci stizziti di Giona, che chiede a Dio di farlo morire solo perché l’arbusto sotto il quale si stava riparando dal caldo si è seccato?
E quando l’asina di Balaam, visto che questi non la ascolta e seguita a percuoterla, si mette a parlare?
E come non vedere dell’ironia nell’episodio in cui Giosuè, in esplorazione segreta a Gerico, viene scoperto, e una prostituta, Raab la larga (già il nome è molto ironico), lo salva. E come non ridere quando poi l’evangelista Matteo mette proprio questa prostituta tra i discendenti diretti di Gesù?
La Bibbia è stracolma di ironia e racconti che fanno ridere.
E Gesù è cresciuto in questa cultura. Come poteva non ridere?
Conclusione
Forse una certa interpretazione ascetica e rigorista ha portato il cristianesimo ad allontanarsi da queste sane radici bibliche; una proposta che ha enfatizzato lo sforzo, l’impegno, la rinuncia, la mortificazione… e ci ha fatto perdere il gusto squisitamente biblico del godere la vita. Un modello che – secondo il teologo Matthew Fox – ha prediletto la scala di Giacobbe al riso e alle danze in cerchio di Sara, e ci ha allontanato dal corpo, dalla Terra, dalla nostra terrestrità e animalità… e addirittura dallo stesso Gesù “mangione e beone, amico di pubblicani e di peccatori” (Matteo 11:19). E non è un caso che Gesù ci ha lasciato in eredità non una qualche pratica ascetica, ma del pane e del vino da condividere, ridendo felici perché il Signore è qui tra noi (Filippesi 4:4ss).
Quindi ascoltiamo anche noi l’invito degli angeli a Maria e ai pastori… e ridiamo, ridiamo, ridiamo felici, perchè Dio, la Vita, è in noi.
* Sono il reverendo Mario Bonfanti, ordinato sacerdote nel 2002 e uscito dalla Chiesa Cattolica nel 2012 per essere autenticamente me stesso: spiritualmente e sessualmente impegnato nello stesso tempo. Dopo un avvicinamento alla Chiesa Anglicana ho aderito alle Metropolitan Community Churches . Attualmente mi definisco “prete queer” in quanto pastore di una comunità MCC a nord di Milano e appartenente alla teologia e al movimento queer.