Una risposta pastorale cattolica per le persone gay e lesbiche del popolo di Dio (Seconda parte)
Riflessioni di Fr. Joseph Fortuna* pubblicate sul sito della pastorale LGBT della Diocesi cattolica di Cleveland (USA)**, liberamente tradotte da Laura C.
Più di vent’anni fa ero seduto in un’aula di seminario e partecipavo a un corso dal titolo “Antropologia Filosofica”. L’insegnante stava cercando di farci capire un concetto difficile che San Tommaso D’Aquino aveva ripreso da un antico filosofo greco, Aristotele. Il termine tecnico era “accidente”, definito come “qualcosa che inerisce a qualcos’altro, detto sostanza”. Per spiegare questo punto (l’insegnante) ci chiese: “avete mai visto “il blu” camminare per la strada?” o “avete mai visto “l’alto” tirare un canestro?”. La risposta era ovviamente “No. Il blu e l’alto non esistono in sé. C’è sempre un “qualcosa di blu” o “qualcuno che è alto”.
Mi torna in mente quella lezione perché spesso si discute di omosessualità come se anch’essa potesse camminare per la strada. L’omosessualità non esiste di per sé. Invece di pensare all’omosessualità sarebbe probabilmente molto meglio pensare alle “persone omosessuali”. È importante avere le “persone omosessuali” come punto di partenza, invece che l’“omosessualità” in astratto. Questo potrà evitarci di cadere in due grandi trappole.
La prima è quella degli stereotipi. Stereotipare significa prendere la caratteristica di una persona, ad esempio quella di essere omosessuale, e dire che quella caratteristica è la “natura”, l’essenza dell’omosessualità. Lo stereotipo tipico del gay è un uomo lezioso, dai manierismi effemminati. Il tipico stereotipo della donna lesbica ha i capelli corti e l’aria “rude”.
Il problema che deriva da questo tipo di procedimento è che riduce appunto l’intera realtà dell’essere persona omosessuale ad un determinato attributo. Un altro problema è rappresentato dal fatto che alcune persone che non sono omosessuali potrebbero avere le stesse caratteristiche.
La seconda trappola è quella della generalizzazione. Generalizzare significa credere che ciò che è vero riguardo a una persona gay o lesbica sia vero per tutti gli omosessuali. Ma oltre a condividere un orientamento, le persone gay o lesbiche sono varie e diverse quanto lo sono le persone eterosessuali.
Alcuni gay e lesbiche corrispondono alle caratteristiche stereotipiche che vengono loro attribuite, ma la maggioranza di loro non le presenta. Di fatto, se un individuo non rivela esplicitamente il proprio orientamento sessuale, non possiamo essere certi di quale sia. È molto difficile parlare dell’esperienza dei gay e delle lesbihe senza considerare ogni singola persona gay o lesbica. Non sono tutti uguali.
Sono diversi come tutti gli esseri umani sono diversi tra di loro. E come la nostra Chiesa Cattolica ci richiama ad amare e rispettare tutte le persone nella loro diversità, così ci chiama ad amare e rispettare le persone omosessuali.La prima risposta della fede nei confronti di una persona LGBT dovrebbe essere il rispetto e l’empatia. Il rispetto permette le persone omosessuali di essere coloro che Dio ha creato senza difese né apologia. L’empatia cerca di comprendere non tanto l’omosessualità in astratto, ma “quest’uomo” o “questa donna”.
Il rispetto e l’empatia permettono di attribuire valore a tutti per la dignità che Dio gli ha donato. Ci sono alcune cose che sembrano comuni nell’esperienza delle persone omosessuali non perché queste persone siano tutte uguali, ma perché la cultura dominante in cui viviamo parte dal presupposto che tutti siamo eterosessuali: questo crea agli omosessuali dei problemi che gli altri non devono affrontare.
Tutti gli esseri umani che si affacciano all’età adulta, per esempio, devono attraversare un periodo difficile in cui avviene la scoperta della propria identità sessuale. Entrano in contatto con i loro corpi, con sentimenti e bisogni che non hanno mai avvertito prima, con il desiderio di relazione e intimità che sono necessari per una vita umana sana. Scoprire la propria identità sessuale è complesso e difficile anche quando si è eterosessuali.
C’è sempre un certo grado di disagio e imbarazzo, un bel po’ di insicurezza e a volte goffaggine, insieme alla curiosità, all’eccitazione. È molto importante, durante questo periodo, avere dei modelli sani e persone con cui confrontarsi su questi argomenti. Tale fase può essere ancora più difficile per le persone che scoprono di essere gay o lesbiche, che cominciano a scoprire che i loro desideri e le loro attrazioni non sono come quelli della maggioranza delle altre persone.
Tutto quello da cui secondo la loro cultura dovrebbero essere attratti, ogni comportamento o situazione socialmente accettabile, la maggior parte dei modelli dati dai personaggi famosi, dai film o dalle serie, e così via, sbandiera la norma dell’eterosessualità.
Le persone che scoprono di non essere eterosessuali possono reagire con orrore, essere spaventate o confuse. Possono sentirsi isolate e sole. Le loro paure e la loro confusione possono portarli a reprimere la loro autentica identità sessuale o a fingere in modi che non sono sani. Possono sentirsi marginalizzati e invisibili nella nostra cultura perché la nostra cultura ha deciso di lasciarli ai margini e renderli invisibili.
Se il loro orientamento sessuale è invece conosciuto, inoltre, possono andare in contro ad atteggiamenti crudeli e spesso insensibili da parte di chi sta loro accanto. Non è infrequente che persino la famiglia e gli amici in buona fede si comportino con loro in un modo che non li incoraggia a rivelarsi per chi realmente sono. Se gli esseri umani hanno bisogno di intimità e relazioni per poter crescere, e se queste relazioni e intimità richiedono una fiducia profonda e una onesta rivelazione di se stessi, allora la pressione subita dalle persone omosessuali che li costringe a rimanere nel segreto non è semplicemente una pressione, è un’oppressione. Non c’è da meravigliarsi se molti non sono onesti (neanche con se stessi) e scelgono di vivere in una “sottocultura” in cui possono sentirsi accettati, al prezzo però di una sempre maggiore marginalizzazione da parte della società.
Una risposta pastorale della chiesa Cattolica alle persone omosessuali può partire da un’attenta considerazione del modo in cui Gesù ha cercato e si è interessato a chi era emarginato ed escluso dalla società dominante. Dobbiamo considerare che Gesù non si è mai mostrato condiscendente, né ha permesso a chi era emarginato di abbandonare o rinnegare la verità della propria esistenza.
In ogni episodio, in ogni istante li ha invece aiutati a vedere e a vivere la loro esistenza alla luce del Regno di Dio. Li ha sfidati ad accettare il volere di Dio sfidando nello stesso tempo le persone della società dominante a confrontarsi con i loro pregiudizi e con le loro empietà. Ha invitato tutti, emarginati ed integrati, a trovare un modo per vivere insieme amarsi gli uni gli altri caratteristico e distintivo del Regno di Dio.
* Fr. Joseph Fortuna è stato ordinato sacerdote negli Stati Uniti nel 1980. Ha frequentato l’Università Cattolica di Washington DC, dove ha conseguito un dottorato in Teologia sistematica con un focus sulla Liturgia e la Teologia sacramentaria. E’ stato membro della facoltà di teologia della St. Mary Seminary Graduate School, prima di diventare parroco della parrocchia Ascension Parish di Cleveland, dove ha prestato servizio per quasi sedici anni. Oggi continua a servire nella facoltà del seminario, oltre che come parroco di Our Lady of the Lak (Nostra Signora del Lago).
** Ristampato su “The Ascension of Our Lord”, bollettino della chiesa cattolica, estate 1997
Testo originale: People of God Who are Gay or Lesbian: A Catholic Pastoral Response (Second in a series)