Una suora in prima linea per i malati di AIDS a New York
Articolo di Michael J. O’Loughlin* pubblicato sul sito The Daily Beast (Stati Uniti) il 21 gennaio 2019, seconda parte, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Mentre O’Connor, morto nel 2000, e altri vescovi ostili infiammavano gli attivisti e si conquistavano i titoli dei giornali, c’erano molti sacerdoti, suore e laici cattolici in trincea, a dispensare quelle cure fisiche, emotive e spirituali spesso negate da chi aveva il compito di fornirle. Prendiamo per esempio suor Pascal Conforti, cappellana del reparto AIDS del Saint Clare’s Hospital alla fine degli anni ‘80. Quasi metà dei 220 letti di questo ospedale cattolico, al culmine dell’epidemia, erano riservati ai pazienti sieropositivi; suor Pascal stava immersa nella morte e nella malattia per ore e ore. L’abbiamo incontrata nel suo convento delle orsoline di New Rochelle, vicino a New York, dove ha rievocato in tono prosaico i suoi giorni al Saint Clare’s. Solleva obiezioni alla mia formulazione delle domande sulla polemica tra gli attivisti e il cardinale O’Connor, facendo notare come l’arcidiocesi la sostenesse in toto e che lo stesso O’Connor visitava regolarmente i pazienti all’ospedale, lontano dallo sguardo dei media. Per lei è tutto molto chiaro: c’era del lavoro da fare, e lei lo fece.
Una volta si stava intrattenendo con una coppia gay vicina alla morte, e ascoltava i due mentre esprimevano il loro timore della separazione fisica. Suor Pascal attinse dalla sua tradizione religiosa per rassicurarli che il loro amore non sarebbe morto assieme ai loro corpi: “In qualche modo l’amore continua. Lo spirito continua a vivere in maniera misteriosa” ricorda che disse loro.
In un’altra occasione, i medici le chiesero di parlare con un paziente con il quale non riuscivano a mettersi d’accordo su un catetere da mettere sul petto per curare un’infezione fungina alla gola. Todd, che si considerava un maschio ma aveva lesinato e risparmiato per anni per avere un seno, aveva ripetutamente rinviato l’impianto del catetere. I medici dicevano che la piccola operazione non si poteva più rimandare, così chiesero l’intervento della suora. Suor Pascal andò a trovare Todd e gli chiese cosa ci fosse che non andava. Quando uscì dalla stanza, disse ai medici cosa Todd le aveva confidato: “Era molto preoccupato che il porta catetere potesse rovinare il suo bel seno simmetrico, per cui aveva speso tanto tempo e tanti soldi” ricorda il dottor Daniel Baxter. Suor Pascal disse a Todd che aveva davvero un bel seno, e gli promise che non si sarebbe rovinato. Così Todd permise ai medici di procedere.
Secondo molte testimonianze, gli ospedali St. Clare’s e St. Vincent’s erano amministrati dall’arcidiocesi di New York durante gran parte dell’epidemia, ma la gerarchia si intromise molto poco nelle cure mediche e nella fede religiosa dei pazienti. Secondo il dottor Baxter c’erano molte immagini cattoliche al St. Clare’s, ma c’erano anche molti profilattici che venivano distribuiti e il modo in cui curò i pazienti non venne mai messo in dubbio da nessuno che non fosse un medico. Sarah Schulman ricorda come a volte le guardie giurate guardassero di traverso i gay che si abbracciavano in sala d’attesa, ma lo staff era rispettoso verso i pazienti e i visitatori.
Suor Pascal non vuole commentare le polemiche tra i gruppi come ACT UP e la Chiesa istituzionale; racconta però di aver incontrato singoli cattolici che hanno espresso pesanti pregiudizi verso le persone sieropositive: “Ogni tanto qualcuno mi diceva ‘Odia il peccato e ama il peccatore’, e io dicevo ‘No, questa è una cosa molto arrogante. Non si può chiamare nessuno peccatore, perché non sappiamo se lo è’”.
Nel 1995 ci fu il picco di morti per AIDS negli Stati Uniti. In quel periodo la sanità statunitense stava conoscendo dei grossi cambiamenti, e i due ospedali cattolici non ne furono immuni. Nei primi anni 2000 si fusero insieme sotto il nome di St. Vincent’s, ma non bastò; su raccomandazione dello Stato di New York l’ex St. Clare’s Hospital chiuse nel 2007. Il St. Vincent’s chiuse nel 2010, l’ultimo ospedale cattolico di New York. Al loro posto, ora stanno palazzi di lusso. “L’epidemia di AIDS è una parte importante della storia del St. Vincent’s, perché [questo ospedale] era una manifestazione visibile della vocazione della sanità cattolica. La sua opera, rivolta a servire tutti – le persone povere e vulnerabili – fu molto visibile in quel periodo” afferma Thomas Rzeznik, uno storico che sta facendo ricerche su questo ospedale.
Oggi, la Chiesa Cattolica non è ancora immune dall’omofobia. Molte persone LGBT che lavorano in istituzioni cattoliche possono essere licenziate da un momento all’altro e alcuni vescovi scaricano sui sacerdoti gay la colpa degli abusi sessuali. Papa Francesco, che sembra in conflitto sul tema – si è incontrato più volte con gay cattolici e ha pronunciato il suo “Ma chi sono io per giudicare?” – lo scorso dicembre ha confermato la proibizione per i gay di accedere al sacerdozio, una direttiva ufficiale anche se spesso ignorata. L’anno scorso, le associazioni di beneficenza cattoliche di Buffalo hanno annunciato la chiusura dei loro programmi di affido e adozione perché le regole in materia dello Stato di New York, che proibiscono la discriminazione in base all’orientamento sessuale, sarebbero contrarie alla dottrina cattolica.
Negli anni ‘80, nei primi tempi dell’epidemia, c’erano certamente molti cattolici, inclusi molti politici e vescovi, che voltarono le spalle ai malati di AIDS. Che fosse per bigottismo o per colpevole ignoranza, dimostrarono un’assoluta mancanza di umanità di fronte alla malattia. Ma molti altri cattolici, come suor Pascal, fecero quanto ritenevano necessario. “Suor Pascal era completamente avulsa dal giudizio. Era probabilmente la figura più simile a Cristo al Saint Clare’s” ricorda il dottor Baxter. Ma lei, che ora è in pensione, forse non sarebbe d’accordo di essere definita, assieme ai suoi collaboratori, “simile a Cristo”: “Non eravamo un gruppo di martiri. Abbiamo fatto quello che abbiamo fatto perché in quel momento ci trovavamo lì”. Facendo quel lavoro, ha imparato una buona lezione di vita: “Tutto ciò che conta è l’affetto, la gentilezza e l’amore”.
* Michael J. O’Loughlin è corrispondente per gli Stati Uniti del settimanale gesuita America. Twitter: @mikeoloughlin
Testo originale: The Catholic Nun Who Came to New York to Confront the AIDS Crisis