Uomini di Chiesa, tra mascolinità e ideale sacerdotale
Articolo di Josselin Tricou* pubblicato sul sito dell’EHNE – Encyclopédie d’histoire numérique de l’Europe (Francia) il 22 giugno 2020, liberamente tradotto da Massimo de Il ramo del Mandorlo di Roma
L’ideale sacerdotale (dal latino sacer: sacro, separato), fondato sulla separazione chierici/laici, ha plasmato e legittimato la mascolinità atipica dei chierici cattolici di rito latino. La Chiesa cattolica romana ha saputo imporlo come modello egemonico di tutte le forme di vita ecclesiastica nell’Europa del XIX e del XX secolo.
Dopo la crisi che avvolge il Concilio Vaticano II (1962-65) questo ideale è parzialmente rimesso in discussione, proprio mentre il numero dei preti dei paesi della “vecchia cristianità” diminuisce drasticamente. La mascolinità sacerdotale appare (oggi) più che mai sospetta, per non dire colpevole, agli occhi delle popolazioni europee.
L’imposizione dell’ideale sacerdotale ai preti – o processo di clericalizzazione – inizia con la riforma gregoriana (XI e XII secolo) finendo per imporre il celibato al clero secolare e il divieto del porto d’armi, come già avveniva per i monaci, allo scopo di separare radicalmente i chierici dai laici.
Essa si rinforza nel XVI secolo con la nascita della figura del pastore protestante, sotto l’impulso del Concilio di Trento, che fa del prete prima di tutto l’uomo dell’Eucaristia. Infine detta imposizione si diffonde sotto forma di “democratizzazione” dal basso nel XIX secolo: il reclutamento diventa massicciamente popolare mentre le classi agiate disertano il sacerdozio, tranne nel caso cui esse entrino a far parte degli ordini più prestigiosi come i gesuiti e i domenicani.
È l’epoca dei “contadini coronati di mitra” che rappresentano 1/5 dei vescovati francesi nel 1850. Si esalta allora, “il prete semplice”, prendendo come riferimento Jean-Marie Vianney (1786-1859), parroco del villaggio D’Ars, vicino Lione, beatificato e dichiarato “patrono dei preti di Francia” nel 1905 e nel 1929, “patrono celeste di tutti i parroci del mondo cattolico”.
La diffusione dell’ideale sacerdotale
Per inculcare questo ideale, le Chiese d’Europa sviluppano una vasta rete di seminari ecclesiastici che mappano il territorio e addestrano in collegi per minori, i futuri candidati al sacerdozio, offrendogli una lunga formazione integrale, separata dalla società.
Le famiglie si aspettano prestigio e fama per i loro figli e, in cambio, riconoscimento ecclesiale per se stesse. L’ideale sacerdotale si cristallizza in un vero e proprio progetto di genere, costruito in parallelo, ma da intendersi in opposizione ai modelli di mascolinità promossi dalle società borghesi liberali del XIX secolo. Esclusi esplicitamente dai mercati sessuali e matrimoniali, i candidati al sacerdozio lo sono dal campo militare, politico ed economico, spazi per eccellenza di costruzione e legitimizzazione delle mascolinità.
In virtù dell’ideale sacerdotale, sempre, essi imparano a mettere in pratica i valori codificati all’epoca come tipici della femminilità, come la cura degli altri, o l’umiltà; senza dimenticare l’uso della sottana, i paramenti delle funzioni che la Chiesa impone ai suoi rappresentanti, nel momento in cui i vestiti aperti diventano il segno esclusivo del femminile, in opposizione agli abiti chiusi (come i pantaloni).
Ora, questo ideale sacerdotale non si diffonde senza incontrare resistenze. Gli anticlericali, soprattutto in Francia e in Italia, lo denunciano in quanto minaccia per lo stato e per gli altri uomini, sul cui fenomeno testimonia in Francia il best-seller di Jules Michelet: “Il prete, la donna e la famiglia”, pubblicato nel 1843, o in Inghilterra l’opera romanzesca del pastore Charles Kingsley (1819-1875).
I preti europei lo vivono in modo molto diverso, combattuti nella tensione tra l’angelismo al quale tale ideale li destina e il loro desiderio di essere uomini del proprio secolo.
Il XIX secolo vede così la nascita di preti divenuti promotori di erudizione, come l’abate Cochet (1812-1875), archeologo, autodidatta, nominato ispettore dei Monumenti storici nel 1849 -, o ancora uomini di stato come Vincenzo Gioberti (1801-1852), Primo ministro del regno di Sardegna tra il 1848 e il 1849. Il grande movimento della “giustificazione grazie alle opere” soprattutto, ispirerà inoltre tutta l’Europa urbanizzata. Nato nella Germania del primo XIX secolo, periodo in cui la formazione dei sacerdoti sfugge al controllo dei seminari, esso promuove l’utilità sociale dei preti stessi.
Così è dell’abate Adolf Kolping (1813-1865), che, ciabattino di professione, prima di abbracciare il sacerdozio, creerà delle associazioni di compagni (Gesellenvereine).
L’ideale sacerdotale a prova di esperienza degli uomini di Chiesa
Se il codice di diritto canonico conferma l’ideale sacerdotale per come si è cristallizzato nel corso del XIX secolo nei seminari, l’esperienza degli uomini di Chiesa del XX secolo rileva una maggiore discrepanza rispetto alla loro missione di evangelizzazione.
Preti e seminaristi impegnati nella Grande Guerra – già basiti dallo choc generato dalla separazione tra le Chiese e lo Stato, da parte francese nel 1905 – scoprono nelle trincee un mondo maschile che ignoravano. Riconquistarlo richiede un impegno sociale innanzitutto, poi politico, che deve essere più diretto.
Così, a fianco dell’affermazione del laicato militante nel corso del XX secolo, emerge la figura del prete-missionario (o elemosiniere) in opposizione al prete rutinario della civiltà parrocchiale in declino. La traiettoria del Belga Jospeh Cardijn (1882-1967) è un esempio tipico. Semplice vicario di parrocchia, lui fonda la Gioventù Operaia Cristiana (JOC) di cui accompagna la crescita in tutto il mondo.
Il confronto con i totalitarismi, con la II Guerra mondiale e con le guerre di decolonizzazione, crea poi le condizioni di una rieducazione del clero, non senza tensioni, come illustrato dalla traiettoria del gesuita francese Pierre Chaillet (1900-1972). Resistente e fondatore dei Quaderni della testimonianza cristiana, che prendono posizione contro la tortura praticata dall’esercito francese in Indocina e in Algeria, gli viene chiesto rapidamente di ritirarsi dall’impresa.
L’esperienza dei preti-operai in Francia e in Belgio è il tentativo più audace in questo senso, tanto più perché essa conosce allora una forte eco. Simboleggiata dal rifiuto della sottana a favore del completo blu da lavoro, la scelta del presbitero di andare verso le case popolari, questa esperienza implica uno spostamento negli spazi sociali e politici come pure quello delle mascolinità. La battuta d’arresto dell’esperienza nel 1954 da Papa Pio XII (1939-1958) rinvia brutalmente i preti coinvolti a un sentimento di inutilità sociale.
L’esclusione imposta dal mondo del lavoro e dal militantismo politico – due scene chiave di espressione delle mascolinità durante le Trenta Gloriose – provocano crisi personali, che saranno all’origine di un numero considerevole di abbandoni della vita sacerdotale.
I cambiamenti culturali degli anni 1960-70 rafforzano questa crisi. Si assiste all’ascesa “del regime” dell’autorità religiosa, ma soprattutto alla delegittimazione profonda della parola sacerdotale sulle questioni sessuali, che la ricezione dell’enciclica Humanae Vitae (1968), affossa, in particolar modo per le donne.
Mentre la sessualità diventa per eccellenza la scena del compimento di sé, i preti ne restano esclusi, e un luogo di potere per eccellenza del prete, da più di un secolo, si sgretola : quello del controllo del corpo delle donne. In questo contesto, la rivendicazione, mossa da un elevato numero di preti e religiosi, di essere sollevati dall’obbligo del celibato – o dalla richiesta di ordinazione anche delle donne – negli anni 1970, appaiono come gli ultimi tentativi di “desacerdotalizzazione” del clero cattolico. L’istituzione resiste.
Meglio; si assiste a una solennizzazione del celibato consacrato a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) mentre, allo stesso tempo, esso mette in crisi la Chiesa cattolica nella posizione di grande difensore della neutralità dei sessi, della loro complementarietà, e della vocazione universale degli esseri umani all’eterosessualità, di fronte a Stati europei che abbandonano progressivamente le loro politiche di repressione dell’omosessualità.
In questo contesto di tolleranza crescente verso le minoranze sessuali, il coming out ecclesiale entra in crisi: la proporzione di omosessuali presenti nel clero, già strutturalmente più elevata rispetto alla popolazione in genere, aumenta dopo l’abbandono massiccio degli eterosessuali, negli anni 70.
L’omofobia mostrata dall’istituzione camuffa meno di prima la sua omofilia interna. Infine, lo svelamento, dagli anni 2000 degli abusi sessuali e sessisti commessi dai chierici determina la perdita di credibilità dell’ideale sacerdotale e della mascolinità che vi afferisce.
Resta solo l’istituzione a soffrire il ripensamento di un clero emancipato da questo ideale, che essa stessa si è imposto e che è diventato la sua firma.
Bibliografia :
– Boutry, Philippe, Prêtres et paroisses au pays du curé d’Ars, Paris, Éditions du Cerf, 1986.
– Suaud, Charles, Viet-Depaule, Nathalie, Prêtres et ouvriers : une double fidélité mise à l’épreuve, 1944-1969, Paris, Karthala, 2004.
– Werner, Yvonne Maria, Christian Masculinity. Men and Religion in Northern Europe in the 19th and 20th Century, Louvain, Leuven University Press, 2011.
Josselin Tricou ha conseguito un dottorato in scienze politiche e studi di genere presso l’Università di Paris 8. Ha partecipato alla ricerca Inserm per conto della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica. È docente di sociologia delle religioni e delle nuove spiritualità all’Università di Losanna in Svizzera.
La sua tesi dal titolo “Des soutanes et des hommes. Enquête sur la masculinité des prêtres catholiques” (Di tonache e uomini. Indagine sulla mascolinità dei preti cattolici) è stata pubblicata nel 2021 (Parigi, PUF, 471 pagine).
Testo originale: Hommes d’Église, masculinités et idéal sacerdotal
https://ehne.fr/fr/node/12355