Il caso Oppo. Vent’anni fa il primo battesimo di un credente omosessuale
Testimonianza inviata da Stefano Meloni di Cagliari il 23 settembre 2007
Accadde più di 20 anni a Cagliari, quando un giovane omosessuale dichiarò alla sua comunità battista la sua fede in Cristo e la sua omosessualità, accendendo così nelle chiese evangeliche una discussione su cosa fare? Le riflessioni, le prese di posizione, i documenti, le sofferenze e le divisioni di quei giorni meritano di essere ricordate perché nel piccolo mondo evangelico italiano, oggi diviso sulle benedizioni alle coppie gay, su questo tema non si parte da zero.
La storia di Fabrizio
Al termine del culto domenicale, al momento degli annunci, Fabrizio si fece avanti per testimoniare la sua fede in Gesù di Nazareth, il Cristo. La chiesa, piena, ascoltò con attenzione le sue parole, con la tensione e l’emozione propria di questi momenti. Fu alla fine che ci fu un sussulto: con la pacatezza che abbiamo imparato a conoscere e con il coraggio della fede, che in questi lunghi anni trascorsi insieme abbiamo sperimentato, Fabrizio dichiarò la sua omosessualità.
In galleria alcuni di noi, lasciata la classe di scuola domenicale per quell’annuncio che sapevamo ci sarebbe stato, ascoltarono con grande emozione, forse timore, anzi senz’altro con timore. Ma si è perso il ricordo dei momenti successivi, nel portico davanti all’ingresso del locale di culto, ed anche delle discussioni inevitabili che si svolsero casa per casa, nel gruppo giovanile, negli incontri con il pastore. In fondo, chi avrebbe respinto un fratello in fede, un simpatizzante, che frequentava i giovani e non chiedeva altro che stare con noi? D’altronde erano stati il pastore in persona e i giovani a spingerlo al gesto pubblico, a fare outing come si dice ora.
Era, però, la prima volta che tutto questo accadeva in una chiesa battista, in Italia. Era una domenica di ottobre del 1981, la chiesa era quella di Cagliari. Qualcuno pensò che il giovane andava accolto con affetto e accompagnato verso un percorso di ravvedimento, di purificazione dal peccato, che Cristo l’avrebbe sanato dal male.
Perché, come noi annunciamo, c’è sempre il ravvedimento, il pentimento, e a questo segue il perdono e la grazia che riconcilia con Dio e con i fratelli e le sorelle. Andò effettivamente che, aldilà delle convinzioni personali di ciascuno, la comunità non respinse Fabrizio, che continuò a frequentare le nostre attività ed a collaborare ove possibile.
La richiesta di battesimo
Il problema nacque un anno dopo, quando fu da lui presentata la domanda di battesimo. Il consiglio di chiesa del 16 novembre 1982, discusse le richieste di battesimo pervenute ma non fissò una data. Battezzare un omosessuale dichiarato? Chi sapeva come comportarsi? Chi sapeva cos’era l’omosessualità e, soprattutto, cosa diceva la Bibbia in proposito?
La discussione fu rinviata alla riunione successiva, tredici giorni dopo, introdotta da una scheda preparata dal pastore. Ci fu un ampio e vivace dibattito, dal quale emersero due posizioni: la prima sosteneva opportuno e necessario l’allontanamento di omosessuali e lesbiche dalle comunità, la seconda attenta al caso specifico, riteneva che gli omosessuali andassero aiutati a capire la loro condizione di peccato e accompagnati verso una sorta di purificazione generata da Cristo.
Allora si sarebbe potuto battezzare quell’omosessuale pentito. In quella sede fu chiesto che posizione avesse l’UCEBI (Unione Chiese Evangeliche Battiste Italiane), e il pastore segnalò l’assenza di prese di posizione in merito, nonché di riflessione, facendo intendere che non si volesse sollevare né trattare l’argomento. Ed è presumibilmente vero che non se ne era ancora parlato ufficialmente e che la materia fosse tabù per le comunità. Solo ad Agape (ndr. incontri su “fede e omosessualità” che si tengon ancora oggi in Piemonte), in quegli anni, si cominciava un percorso di riflessione comune e alla luce del sole. Ma le chiese! Chi avrebbe avuto il coraggio di aprire la querelle?
Noi non potemmo sottrarci, e Fabrizio convertito dal cattolicesimo al protestantesimo, conosciuto ad Agape e vissuto nella comunità di Cagliari, intuiva che se c’era uno spiraglio perché la sua fede fosse riconosciuta e accettata, beh, quello spiraglio forse era da qualche parte, tra le pieghe delle nostre comunità.
E lì, nelle comunità evangeliche italiane degli anni ’80, si poteva provare ad uscire allo scoperto ed essere onesti fino in fondo nel dichiarare la propria fede nel Signore Gesù e nel riconoscersi omosessuale, nel cercare di capire come questi due elementi potessero convivere e non cozzare inesorabilmente l’uno contro l’altro. Era una domanda, era una ricerca, da fare non da soli, insieme a qualcuno che volesse prendere sul serio, in quegli anni, un’istanza certo più diffusa di quanto si sapesse o solo immaginasse.
Quante altre e quanti altri erano nelle stesse condizioni, senza darlo a vedere? Fabrizio poneva una questione di grande rilevanza e attualità, e lo faceva con discrezione, garbo, silenzio, amore fraterno, senza nessuna pretesa se non forse verso sé stesso. Non era una battaglia di principio, era una domanda vitale, sul senso della propria vita.
Una chiesa impreparata
Ma la chiesa non era preparata ad affrontare temi così nuovi e scottanti. E si bruciò. Nell’assemblea del 27 febbraio 1983 l’argomento non venne trattato ma cominciò a serpeggiare una certa tensione. Evidentemente se ne era parlato nelle case, se ne parlava in occasioni informali.
La questione assumeva contorni non più locali, c’erano primi segni di dibattito sulle riviste. Il consiglio di chiesa del 15 marzo discusse animatamente e stabilì un’assemblea sul tema da tenersi il 10 aprile, che però fu spostata al 1° maggio e presieduta dal presidente UCEBI, il pastore Piero Bensi, che intervenne di persona a cercare di condurre un dibattito che, evidentemente, stava assumendo toni molto delicati che mettevano a rischio la comunità stessa e le relazioni fra i membri.
Gli inviti all’unità della chiesa, le preoccupazioni di alcuni sul nascere di contrasti, cominciavano a emergere. Così come fu inevitabile l’accendersi di posizioni differenti e contrastanti. Gli animi si riscaldavano, i culti domenicali manifestavano i primi segnali di una tensione crescente che rischiava di esplodere. L’assemblea iniziò con una introduzione del pastore Bensi, che affermò nell’ordine: che il problema ci coglieva di sorpresa e impreparati come Unione Battista, che dopo aver parlato a lungo con Fabrizio e aver colto il profondo turbamento e l’inquietudine del giovane, si faceva portavoce del suo desiderio di una discussione serena e dell’unità della comunità.
La discussione assembleare, molto partecipata, fece emergere diverse posizioni oscillanti tra il doversi trattare biblicamente l’omosessualità, investigare le scritture nel rispetto reciproco e amando il prossimo, dare del tempo al giovane e vedere se potesse essere liberato, non mandar via nessuno perché la chiesa è aperta a tutti e non solo ai santi, i facili entusiasmi dei giovani troppo presto battezzatisi ed entrati in confusione a causa di Fabrizio, il condizionamento dei genitori che non vogliono perdere i propri figli e li assecondano nel sostenere la posizione di Fabrizio, che in fondo vuole una vittoria personale.
Qualcuno affermò la nostra impreparazione come consiglio di chiesa e la chiarezza raggiunta dallo studio biblico condotto dal pastore: la Bibbia condanna l’omosessualità. Qualcuno affermò che la Bibbia condannava l’ omosessualità di cui era a conoscenza ma che Gesù non ne aveva fatto cenno, e altri affermarono che la discussione serena e l’accoglienza avrebbero consentito di aiutare il giovane e nessuno avrebbe dovuto “sbatterlo fuori”.
Il pastore Bensi affermò che se la chiesa avesse chiuso le porte a qualcuno, l’Unione Battista non avrebbe riconosciuto una tale comunità. La discussione continuò. “La porta deve rimanere aperta, ma le persone devono lasciare fuori i loro peccati”, e ancora “paura se i propri figli avessero un insegnante omosessuale”, “Fabrizio deve cambiare e sarà accettato”.
Faticosamente emerse anche una posizione che asseriva potesse esserci l’amore in una relazione omosessuale e che pertanto non si dovesse considerare come sinonimi omosessualità e vizio. Era giustificata la sofferenza che la società infliggeva a queste persone?
Il pastore Bensi concluse ringraziando il Signore per lo scambio assembleare. “Siamo chiamati ad amare tutti, non possiamo giudicare nessuno. Bisogna approfondire lo studio biblico, senza acredine e spirito di giudizio. Il Signore può compiere ancora tanti miracoli”.
Anche in campo nazionale se ne comincia a discutere
In campo nazionale qualcosa cominciava a muoversi. Apparvero articoli su “La Luce” e sul “Testimonio”. La FGEI (Federazione Giovanile Evangelica Italiana) iniziò ad affrontare la questione. Nel maggio del 1983, a Santa Severa si tenne un incontro dal titolo “Movimenti marginali: perché nascono, che rilevanza politica hanno?” in cui si prendeva particolarmente in considerazione il movimento lesbico e il movimento gay.
Alle domande più provocatorie “credi che il desiderio omosessuale sia universale?”, “perché si diventa eterosessuali?”, il dibattito generò delle risposte che convinsero i partecipanti che l’ omosessualità è una componente presente in ognuno di noi, che viene repressa dalla società che la considera devianza, perversione e vizio.
Si sollecitò un approfondimento sul tema. Un campo tenutosi al centro battista dal 28 giugno al 12 luglio affrontò nuovamente l’argomento. Il NEV (l’agenzia di stampa Notizie Evangeliche) ne diede questo resoconto il 10 agosto successivo: “Accogliere senza distinzione tutti coloro per i quali Cristo è morto”.
Nel documento approvato a conclusione dei lavori viene sottolineata l’emarginazione di questa particolare forma di sessualità da parte della cultura dominante.
“Finora – si afferma nel documento – pregiudizi, paure e disinformazione, congiunte a condizionamenti di ordine sociale, culturale, psicologico e religioso, hanno portato ad una visione limitata e non chiara dell’omosessualità e dei suoi più profondi aspetti.”.
“Il ministero di Cristo – continua il documento – è stato contrassegnato dall’abbattimento di barriere di natura religioso-sacrale, razziale, nazionalista, sessuale, politica e culturale presenti al suo tempo. Questo lo ha portato a scontrarsi con le autorità religiose e perfino con i suoi discepoli. Una chiesa che ancora oggi vive operando divisioni e consolidando discriminazioni è in contraddizione con l‘Evangelo di Gesù Cristo.”
I partecipanti ritengono dunque necessario superare le comuni definizioni dell’omosessualità come devianza, malattia o peccato, per inquadrarla “nel tema più generale della sessualità umana che trova piena realizzazione nell’ amore inteso come dono reciproco o scambio e fedeltà, con l’esclusione di violenza, prevaricazione, mercificazione e sfruttamento.”.”Rifuggendo quindi da ogni forma di discriminazione e condanna precostituita – conclude il documento- la chiesa è chiamata ad accogliere senza distinzione tutti coloro per i quali Cristo è morto, anche omosessuali, che rispondono all’annuncio dell’evangelo, ponendosi così come segno anticipatore della nuova realtà inaugurata da Gesù Cristo.”.
Un durissimo dibattito sul “Testimonio”
Il rifiuto di battezzare Fabrizio fece il giro dell’Italia evangelica e divenne oggetto di accese discussioni. Il “Testimonio” dedicò ampio spazio ad interventi e lettere pro e contro l’omosessualità. I toni salirono e si sprecarono invettive e giudizi durissimi. Allo scopo si possono consultare i numeri 7/8/9/10/11/12 del 1983, e 1/2/3/4/5/6/7/8/12 del 1984. In questo scambio di lettere e interventi le posizioni oscillarono tra condanna senza appello e solidarietà, tra citazione e interpretazione letterale del testo biblico a sostegno della condanna dell’omosessualità e articoli che tentavano di spiegare, con le conoscenze di allora, in termini scientifici lo stato omosessuale.
Nel frattempo, nella chiesa di Cagliari, ben presente tra gli interventi pro e contro l’omosessualità sul Testimonio, le discussioni accese continuarono, da un lato alimentando la crisi, dall’altro sollevando il velo su altre tensioni fino ad allora rimaste sopite.
Fu più chiaro allora che c’erano due modi di pensare e interpretare lo scritto biblico, che c’era una comunità ma in realtà due gruppi che si fronteggiavano per affermare le proprie convinzioni teologiche, che c’erano diatribe familiari che esplodevano e vecchie ruggini su chi determinava la linea della chiesa. Il pastore di allora ritenne opportuno, per sé e la propria famiglia, lasciare tutto e trasferirsi altrove, in un’altra chiesa battista nel mese di settembre dell’83.
A complicare il tutto arrivò sul tavolo del consiglio la richiesta di battesimo di un altro giovane omosessuale che si dichiarava peccatore pentito e dunque pronto al battesimo. Il consiglio di chiesa diede il suo parere favorevole. Ma la situazione era ormai vicina alla rottura.
Un articolo su Gioventù Evangelica, ottobre 1983
In campo nazionale un contributo significativo di approfondimento venne da una sezione sull’omosessualità, pubblicata sul numero 82/83 di Gioventù Evangelica, dell’ottobre 1983. Dei tre interventi, quello in cui vennero affrontati gli aspetti biblici, etici e teologici, di Ermanno Genre, mostrò che il discorso biblico sulla sessualità non è chiaro e univoco e che necessita di cautela e studio ulteriore per poter trovare direzioni e orientamento. Tra i punti di sintesi, al termine del lungo intervento che l’autore proponeva, vorrei segnalarne e riportarne alcuni.
Scriveva Genre:
1. gli evangeli non parlano di omosessualità: Gesù non ha avuto contatti con omosessuali o, almeno, non vi è alcun accenno nei testi…. L’atteggiamento di Gesù verso donne e uomini peccatori di ogni sorta e ceto sociale non ci offre una norma ma ci aiuta ad impostare correttamente il problema. Gli incontri di Gesù sono tutti nel segno della comprensione, dell’accettazione, del perdono e quindi della vita. Il giudizio cade su chi cerca la sua giustizia, su chi crea la norma per il rifiuto, su chi si appella ad una legge per usarla contro il suo prossimo….
2. ciò significa che il nostro punto di riferimento non sta innanzitutto nel mito della creazione ma nell’avvenimento della riconciliazione…. La riconciliazione è orientata escatologicamente : “non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina (Gal. 3-28). Il criterio etico determinante è quello dell’agape che nasce dalla fede.
3. Paolo non ha conosciuto degli omosessuali credenti, noi li conosciamo. La loro fede in Gesù Cristo è della stessa natura della nostra perché è dono di Dio. Questa è una realtà fondamentale che non può più essere misconosciuta o sottovalutata, sia dal punto di vista esegetico che dogmatico.
Per noi non è più possibile far dipendere l’omosessualità dall’idolatria come fa Paolo in Rom. 1,18-32. Che oggi vi siano degli omosessuali credenti in Cristo è una “novità” di grande portata teologica che impone alla chiesa una revisione del suo atteggiamento tradizionale.
4. ciò significa che non è più possibile continuare a dire agli omosessuali: dovete convertirvi, dovete cambiare! Siamo noi piuttosto, noi eterosessuali a dover cambiare nei confronti degli omosessuali, riconoscerli così come sono e non come vorremmo essi fossero; dobbiamo prendere atto della loro condizione esistenziale. Si tratta di imparare a rispettare questa diversità e pretendere al tempo stesso che venga rispettata da parte loro la nostra diversità eterosessuale….
5. si rende quindi necessaria una riflessione ed un lavoro comune; senza la compartecipazione non c’è vero dialogo ed il discorso resta unilaterale. Se occorrono delle norme queste vanno stabilite e definite insieme.
6. nella pastorale che la chiesa è chiamata ad esercitare occorre evitare semplificazioni e superficialità. Un atteggiamento “accondiscendente” può essere altrettanto negativo quanto un atteggiamento di “rifiuto”.
Perciò è segno di una cattiva impostazione parlare di una pastorale per omosessuali; il rischio è di ghettizzare una volta di più gli omosessuali e mantenere, contro le intenzioni di partenza, una discriminazione. L’omosessualità si intreccia nella vita con tutti i suoi problemi ed è in questa dimensione di vita totale che l’approccio pastorale deve potersi esprimere.
La mozione del VII Congresso FGEI
A dicembre ’83 si svolse ad Ecumene, il VII Congresso FGEI. La questione fu dibattuta in gruppo e in plenaria, e il dibattito produsse la seguente mozione: “Sessualità e omosessualità – il VII Congresso:
– preso atto del crescente dibattito che si sta sviluppando nel mondo evangelico sul tema dell’ omosessualità
– preso atto anche degli sviluppi della questione sollevata intorno ad un fratello di Cagliari che, dichiaratosi omosessuale, non è stato ammesso al battesimo nella locale chiesa evangelica;
– ritiene che la fede in Gesù Cristo e l’amore omosessuale, come qualsiasi altra forma di relazione umana, possano non essere in contraddizione tra loro;
– esprime radicale dissenso e profondo dolore nel constatare l’esistenza di atteggiamenti discriminatori nell’ambito delle chiese evangeliche nei confronti di questo fratello e di tutti quelli che nelle nostre comunità si trovano in un’analoga condizione.
A queste persone, dichiarate e non dichiarate, il Congresso esprime tutta la sua solidarietà;
– invita i gruppi, le regioni ed il Consiglio a proseguire e ad approfondire ulteriormente la riflessione sia sulla sessualità in generale che sull’omosessualità in particolare.”.
La comunità verso la rottura
L’alternanza di pastori che viaggiarono per la Sardegna a sostenere il momento di crisi comunitario, che l’Ucebi a dire il vero prese sul serio, non risolse ma non poteva risolvere il problema. La chiesa continuò in un lacerante confronto a cercare una soluzione che non portasse a divisioni ulteriori e formali. Ma lo spirito comunitario era profondamente spezzato e le relazioni fraterne in molti casi messe veramente a dura prova.
Vi erano anche molti inviti preoccupati verso l’unità, ma il dibattito interno e le prese di posizione pubbliche (sul Testimonio e anche su La Luce) si cristallizzavano sempre più su posizioni intransigenti e poco conciliabili.
Pure il culto domenicale fu investito drammaticamente da predicazioni e preghiere che suonavano come giudizi inappellabili del fratello contro il fratello, della sorella contro la sorella. Si visse in quel tempo il dramma del conflitto religioso tout court, del fondamentalismo che condanna, della lotta intestina tra famiglie della stessa comunità.
Il caso Oppo
Si pensò allora di compiere un atto provocatorio per segnare un punto di non ritorno. Se le chiese evangeliche in Italia non se la sentivano di battezzare Fabrizio, l’avremmo fatto lo stesso. Avremmo chiamato a raccolta tutti e tutte coloro che ritenevano giusto farlo e saremmo andati al fiume insieme a immergere Fabrizio nell’acqua. Ci saremmo sentiti chiesa riunita intorno alle parole di Gesù “quando due o tre saranno riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro”.
Molti comunicarono la loro disponibilità, altri presumibilmente si preoccuparono delle conseguenze del gesto. La questione ebbe una rilevanza internazionale. Giunsero lettere di sostegno, una perfino dagli Stati Uniti indirizzata a “Il caso Oppo, via S .Ignazio 20, Cagliari”! Con questa espressione, infatti, era stato accompagnato, in un numero tra i primi dell’84 di Com Nuovi Tempi (l’attuale Confronti), un intervento di Fabrizio. Da allora la questione ebbe questo titolo.
La divisione
Nel frattempo giunse a Cagliari il pastore Mollica. I verbali dei consigli e delle assemblee di chiesa di quei mesi mostrano che la chiesa era ormai divisa. Le due anime in conflitto non riuscirono ad evitare la separazione.
D’ altronde chi avversava la scelta del battesimo già si riuniva nelle case e cominciava a disertare le adunanze. La questione era troppo grande per una singola comunità e qualcuno lamentò che i pastori che erano venuti a Cagliari non avevano sciolto i nodi e ci avevano lasciati soli nell’incertezza.
Lo stesso pastore Mollica fu inizialmente cauto, nel tentativo di salvare l’unità della chiesa, ma allo stesso tempo netto nel non lasciare spazio a stravolgimenti nella conduzione della comunità (non permise, cioè, di dimissionare il consiglio di chiesa, accusato di non rappresentare più la maggioranza) e difese il direttore del “Testimonio” di allora dall’accusa di essere un filosofo marxista scorretto e di parte.
Presumibilmente, la lettera che segue, di un fratello di Cagliari, pubblicata nel numero 6 del Testimonio di giugno ’84, dopo la conclusione del dibattito sulle colonne della rivista, fu l’ultimo atto che portò alla separazione ufficiale dalla comunità da parte di 32 membri.
“Caro Testimonio, con questo scritto mi riferisco al caso di Fabrizio, credente che, dichiaratosi omosessuale non è stato ammesso al battesimo in una delle nostre comunità battiste, dopo mesi di discussioni accese e di assemblee incandescenti. La questione ha assunto risonanza nazionale, interessando gli organi esecutivi delle nostre chiese, i giornali evangelici, le comunità stesse, accendendo un dibattito sotterraneo che non trovava lo spazio per venire allo scoperto, anche se nelle comunità evangeliche esistono altri credenti omosessuali dichiarati o meno.
“Fortunatamente” oggi siamo costretti a parlarne e a venirne messi in discussione. Ultimamente molti atteggiamenti in proposito, nelle nostre comunità, sono stati di giudizio e di condanna sulla base di interpretazioni bibliche certamente letterali quanto rigide e categoriche. Io credo, però, che si debbano distinguere due livelli del problema. Uno è quello degli aspetti biologici, psicologici e sociali della questione. Da questo punto di vista dobbiamo certamente dichiararci (tutti) scarsamente informati e sufficientemente ignoranti, e buon senso vorrebbe che limitassimo al massimo le nostre dichiarazioni di principio. Il secondo livello è quello della problematica morale e “religiosa”; della risposta, cioè, che le nostre comunità e ciascuno di noi è chiamato a dare a coloro che ci pongono con la forza (o con la disperazione?) che può derivare dalla solitudine e dalla emarginazione sociale, il loro problema. Che dicono i credenti? Che hanno fatto finora? Possiamo noi (credenti, chiesa, istituzioni) esprimere giudizi sulla fede di chiunque sia o, ancora, impedire l’espressione e la testimonianza di questa fede? Possiamo noi affermare che quella testimonianza al Cristo non può essere valida e non può essere detta? Possiamo noi dire – la tua fede non vale, non sei degno di essere considerato né accettato come fratello, non ti battezziamo?
Possiamo dire – cambia e rinasci di nuovo, sii un altro uomo (nel caso specifico diventa uomo virile) e ritorna alle tue passioni naturali e poi, vieni alla mensa dei fratelli “puri”? (quali?).
Dobbiamo dare ed esprimere con chiarezza un segno tangibile di accoglienza – sì, di accoglienza- per tutti coloro che (ancora!) si avvicinano alle nostre comunità, a noi stessi, e ci interpellano come interlocutori possibili per i loro problemi e da noi, chiese, vengono esclusi, rifiutati. Se questi problemi non diventano nostri, siamo solo dispensatori di parole rassicuranti e di richiami moralistici, siamo degli intellettuali del pulpito, della domenica, della fede cristiana. Così per l’omosessualità: ma chi può dire che questo stato sia un vincolo senza la rottura del quale non si ha accesso nella categoria dei salvati? Con quale autorità?
Ma poi, tra le altre cose, non potrebbe veramente accadere che nell’amore (non sto parlando solo di sessualità) tra persone dello stesso sesso possa esserci, come può esserci nella relazione eterosessuale, un reciproco donarsi, affetto, tenerezza, sincerità, rispetto, dignità, gioia comune, vicinanza, fiducia?
Se esiste un popolo di Dio, questo non è vincolato da leggi, principi, regolamenti, norme comportamentali, chiese e comunità istituite. In questo popolo ci sono tutti quelli che il Signore, Lui, chiama. In questo popolo c’è spazio per tutti quelli che, in cuor loro, al Signore Gesù si rimettono.
Io conosco un uomo, Fabrizio Oppo, è un credente, è un omosessuale. So che il Cristo che lo ha chiamato è lo stesso Cristo che mi ha rivolto una vocazione. A Lui apparteniamo. Fabrizio è mio fratello.”.
Le dimissioni dei trentadue membri
La rottura fu sancita nell’autunno dell’84. Nel “Testimonio”, numero 12 del dicembre ’84, fu pubblicata la lettera di dimissioni seguente:
“Cari fratelli nel Signore, al fine di evitare ripetuti scontri teologici e salvaguardare la necessaria serenità spirituale, con molta amarezza ma certi di seguire con più obiettività i principi biblici, i sottoscritti dichiarano, con la presente, di non voler più far parte della Comunità Battista di Cagliari (e quindi dell’Unione Battista), alla quale augurano, con la guida del Signore, di procedere sempre e comunque per l’avanzamento del Suo Regno.
Tale decisione, molto sofferta e ponderata, è derivata come tutti sanno o dovrebbero sapere, solo ed esclusivamente per controversie bibliche che non si limitano al problema sull’omosessualità ma su altri punti della Sacra Scrittura dalla quale si vogliono scoprire (o riscoprire) significati moderni e rispondenti ai problemi sociali che assillano il nostro periodo storico.
La fatidica goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la richiesta di battesimo di un omosessuale, dichiaratosi tale ma che sostiene che questa condizione non è da considerarsi peccato davanti a Dio. Di fronte a tale precisazione i sottoscritti hanno ritenuto opportuno evidenziare che la Chiesa è al servizio del mondo e deve essere disponibile per dare il suo aiuto e la sua predicazione a chiunque, senza emarginare nessuno; che l’Evangelo, tuttavia, pone chiaramente, per accedere al battesimo e quindi alla comunità, le due condizioni fondamentali del ravvedimento e della fede in Cristo, entrambe operate in noi dall’azione dello Spirito (Atti2:38); che la Scrittura non considera l’omosessualità in modo diverso dalle altre situazioni umane in contrasto con la volontà di Dio; che nessuna difficoltà di etica umana, inclusa quindi l’omosessualità, quando riconosciuta come situazione di peccato, non possa essere superata dalla Grazia del Signore che ci concede di camminare in novità di vita (Rom. 6:4), attraverso l’annuncio della Parola e la preghiera della comunità.
Vi sono state riunioni, assemblee, si è richiesto, nel rispetto congregazionalistico battista, l’opinione da parte dell’Unione, del Presidente e di tutti i pastori – staffetta presentatisi a Cagliari in attesa che il pastore Mollica si insediasse definitivamente. Nessuno, direttamente o indirettamente si è sentito di approfondire o discutere fraternamente, alla luce della Parola di Dio, il problema specifico. È stato permesso, però, che “il Testimonio” dibattesse il problema in modo parziale ed equivoco e non alla luce delle Scritture.
Anche la venuta del nuovo pastore non ha contribuito a modificare la situazione che si è venuta a creare. Oltre al problema dell’omosessualità riteniamo che la Bibbia sia il mezzo per distinguere ciò che proviene dallo Spirito da quanto ha una diversa origine. Tale Parola è per noi il documento originario e il metro mediante il quale verificare quanto viene attribuito alla Parola di Dio; quello che non collima non può essere Parola di Dio.
Pertanto riteniamo che il credente in ogni tempo debba adeguare la propria vita alla Scrittura e non adattare la Scrittura alle situazioni sociali che di volta in volta si verificano.
Fraterni saluti. Cagliari, 14 ottobre 1984 (segue un elenco con 32 firme)
Il direttore del Testimonio Andrea Mannucci aggiunse in calce:
“Con profondo rammarico mi vedo costretto a pubblicare questa lettera che è il sintomo del profondo malessere che serpeggia in alcune nostre comunità. Dispiace soprattutto che il dibattito, avutosi in queste pagine, per buona parte del passato e del presente anno, non abbia portato ad una seria e ponderata riflessione. Purtroppo penso che ciò non sia avvenuto, tanto che nemmeno l’Assemblea Ucebi ha ritenuto spendere una sola parola sull’argomento.
Così siamo arrivati a questa soluzione lacerante di cui tutto il battismo italiano dovrà sentirsi responsabile. Ce ne dispiace, perché il nostro intento, l’intento della rivista dei battisti italiani, era proprio quello di evitare situazioni di rottura come questa. Dobbiamo, una volta per tutte, iniziare un dibattito serio e veramente fraterno e non continuare con la nostra colpevole superficialità. Preghiamo perché sia l’Amore a guidarci e non la nostra farisaica presunzione, preghiamo perchè lettere come questa non debbano più essere scritte.”
Epilogo. Oggi, ventitrè anni dopo
Le lacerazioni patite e inferte in quei mesi hanno lasciato segni profondi. Dei 32 membri dimissionari alcuni hanno costituito una comunità evangelica non appartenente ad alcuna denominazione storica, continuando nel loro piccolo un’azione di testimonianza. Negli anni hanno raccolto nuove adesioni e si sono ulteriormente divisi in gruppi. Altri membri dimissionari sono confluiti nella locale comunità avventista, il resto non frequenta regolarmente nessuna comunità.
La chiesa battista di Cagliari (restarono una sessantina di membri) ha superato non senza difficoltà lo shock negli anni, vivendo un periodo felice sotto la cura del pastore Mollica e, poi, del pastore Anders.
Oggi, dopo più di venti anni qualche membro dimissionario si è riavvicinato alla chiesa d’origine e l’anno scorso uno è stato riaccolto come membro a tutti gli effetti. Altri hanno ricucito un rapporto fraterno che porterà ad una riconciliazione nel prossimo futuro. Molti dei giovanissimi di allora, certo scandalizzati dalla violenta crisi, si sono allontanati dalla chiesa forse anche perdendo la fede.
Quattro membri del gruppo FGEI del tempo siedono da anni nel consiglio di chiesa. Fabrizio è stato battezzato nel battistero della nostra chiesa battista di Cagliari il 2 novembre 1986 dal pastore Mollica e da diversi anni è il segretario di chiesa. Il suo contributo alla vita comunitaria è stato, in questi ventitrè anni, di esempio per molti.