Essere chiesa. Verso un linguaggio inclusivo per i credenti e per Dio
Estratto dalle linee guida sul linguaggio inclusivo pubblicate dalla Metropolitan Community Church (Stati Uniti) il 1 gennaio 1981, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
[…] Perché il linguaggio inclusivo? Il motivo per cui abbiamo bisogno di trovare e utilizzare un linguaggio inclusivo nella nostra vita ecclesiale è stato da molti frainteso. Il linguaggio inclusivo è spesso stato quasi imposto alle congregazioni perché si asseriva che l’utilizzo del tradizionale linguaggio esclusivo disturbasse e facesse arrabbiare alcuni che poi lasciavano la chiesa. Come cristiani dobbiamo preoccuparci dei sentimenti degli altri, ma se l’unica ragione per cui utilizziamo il linguaggio inclusivo è evitare di disturbare qualcuno, che dire di chi trova l’uso del linguaggio inclusivo irritante perché poco famigliare? Il principio che guida la vita e la prassi della chiesa non può essere “ciò che mette a proprio agio la maggior parte della gente” ma piuttosto “qual’è la volontà di Dio, quale il suo scopo?”. La ragione per la quale dobbiamo utilizzare il linguaggio inclusivo non è far felice un gruppo in particolare ma il fatto che è necessario per promuovere la giustizia, la riconciliazione e l’amore, il programma a cui siamo chiamati come cristiani.
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UN MONDO DI DIVISIONI
A causa del peccato degli esseri umani, viviamo in un mondo di divisioni e di oppressione. I gruppi che tradizionalmente hanno esercitato il controllo su altri gruppi, inevitabilmente e spesso inconsciamente cercano di preservare il loro status di superiorità negando agli altri l’accesso al potere e ai privilegi di cui godono. Tale rifiuto può essere palese, per esempio sotto forma di leggi o costumi discriminatori, oppure nascosto, ma ancora più potente, sotto forma di concetti o linguaggio oppressivi.
L’insidiosa natura del linguaggio, che serve per innalzare un gruppo a norma o standard, rafforza il primato e l’importanza di quel gruppo ogni volta che pensiamo o parliamo, quindi diventa automatico o “naturale” ascrivere un più forte peso a quel gruppo. La giustizia, la riconciliazione e l’amore ci richiedono di vincere l’oppressione ovunque la troviamo e non possiamo escludere da ciò le strutture oppressive del nostro linguaggio.
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ALLARGARE IL NOSTRO CUORE
L’uso del linguaggio inclusivo abbatte le barriere che impediscono l’uguaglianza, ma non solo; ci rende liberi di afferrare e trasmettere la verità tutta intera. Paolo invitava i Corinzi ad allargare i loro cuori per vivere l’evangelo nella sua pienezza (2 Corinzi 6:13). Nello stesso spirito, siamo invitati ad allargare la nostra comprensione per poter meglio afferrare la ricchezza e la pienezza di Dio come anche la nostra umanità. È la nostra disponibilità a muoverci oltre le immagini consuete e famigliari che ci rende in grado di crescere nella nostra relazione con Dio. L’importanza del linguaggio inclusivo sta nel fatto che libera tutti.
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NON È SEMPLICE
Il linguaggio non è semplice come appare a prima vista. Il modo in cui parliamo di qualcosa non solo descrive l’esperienza, ma spesso le dà forma e la crea. Il potere e il peso del linguaggio, delle parole, della parola, era compreso molto bene dagli autori delle Scritture, che identificavano l’atto della creazione con la Parola di Dio, il parlare di Dio. L’immagine dell’interazione di Dio con l’umanità viene costantemente espressa nei termini della Parola di Dio, di Dio che parla. La primitiva proibizione di pronunciare il nome di Dio era il riconoscimento del potere dei nomi e delle parole. Infatti, la delega di Dio all’umanità di dare un nome alle creature era un atto con cui Dio ha conferito autorità all’umanità stessa. Perciò, quando abbiamo a che fare con il linguaggio in generale, e il linguaggio divino in particolare, ci avventuriamo in una zona di profondissima significanza ed è importante procedere con attenzione e cautela.
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IL CAMBIAMENTO È COSTANTE
Sia la tradizione biblica che la storia della comunità di fede rivelano che l’unica costante del linguaggio di Dio è il cambiamento. E come potrebbe essere diversamente? Noi adoriamo e rispondiamo a un Dio vivente. Sia come individui che come comunità, la nostra comprensione e la nostra esperienza di questo Dio crescono assieme a noi, e la crescita porta inevitabilmente cambiamento.
La Bibbia, nella sua forma presente, si è evoluta in un periodo di molti secoli. Dal loro esordio come storie di fede tramandate di bocca in bocca, di generazione in generazione, le storie bibliche furono poi fissate per iscritto con le loro aggiunte. Le diverse generazioni e comunità di fede hanno dato forma, corretto e riscritto queste storie alla luce della loro comprensione e della loro esperienza di Dio. Più tardi, altre comunità discussero quali storie e quali versioni sarebbero state considerate scrittura e quali no.
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RACCONTARE DI NUOVO LE STORIE
Non sorprende quindi che noi, nella nostra epoca, seguendo la tradizione dei nostri antenati nella fede, raccontiamo di nuovo e diamo nuova forma alle grandi storie della fede alla luce della nostra esperienza e della nostra comprensione dello stesso Dio vivente. Tale riformulazione è una caratteristica tipica di ogni età profetica, in cui Dio ci chiama a una comprensione più ampia delle antiche verità e relazioni alla luce dei cambiamenti e delle mutate esperienze. Fu la riformulazione della fede da parte dei profeti in risposta alla distruzione di Israele a rinnovare quella fede. Fu la riformulazione della legge nella vita e negli insegnamenti di Gesù ad adempire quella legge. Fu la reinterpretazione dell’identità della comunità di fede da parte di Paolo a gettare le fondamenta di una chiesa inclusiva e universale.
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DIO NON È LIMITATO
I cambiamenti rappresentati da queste linee guida mirano ad allargare ed espandere la nostra comprensione e la nostra esperienza di Dio. Cessando di identificare Dio con parole o concetti associati primariamente o esclusivamente con un solo genere, una sola razza, un solo gruppo, noi rendiamo una più fedele testimonianza alla natura di un Dio che non è limitato a un solo genere, una sola razza o un solo gruppo. Il fatto che tale cambiamento non sia né famigliare né tranquillo per molti di noi non significa che non dobbiamo fare questo sforzo. Permettere alla nostra vita di essere trasformata dal potere di Dio spesso implica sottomettersi ai cambiamenti che all’inizio rifiutavamo.
L’opera che consiste nell’imparare a riformulare la tradizioni della nostra fede alla luce della Parola presente di Dio non è nient’altro che ciò che altre comunità di fede hanno dovuto fare prima di noi. Infatti, essere parte di questa emergente riformulazione della Parola di Dio non è un fardello ma un privilegio sacro.
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DEFINIZIONI
Cos’è l’inclusività? L’inclusività è un atteggiamento di reciprocità e di apertura verso gli altri che riconosce il diritto di ciascuno e ciascuna di accedere paritariamente all’esperienza e alla realizzazione della totalità ed è un impegno a rimuovere le barriere tra gli individui e le comunità che negano tale accesso.
Cos’è il linguaggio inclusivo? Il linguaggio inclusivo riflette un atteggiamento di reciprocità e di apertura verso gli altri che riconosce il diritto di ciascuno e ciascuna di accedere paritariamente all’esperienza e alla realizzazione della totalità. Il linguaggio inclusivo riflette la sensibilità per abbattere le barriere esistenti tra gli individui e le comunità in aree come il genere, la razza, la classe sociale, l’età, le differenze fisiche, la nazionalità, le credenze teologiche, la cultura e lo stile di vita.
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LINEE GUIDA PER IL GENERE
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A. Riferimenti alle persone:
A.1 Utilizzare termini che non indichino un genere in particolare oppure termini inclusivi quando si fa riferimento ad ambedue i sessi.
A.2 Utilizzare sia il pronome maschile che quello femminile quando si fa riferimento ad ambedue i sessi.
A.3 I termini che indicano occupazioni e ruoli non dovrebbero fare riferimento a un solo genere.
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B. Linguaggio inclusivo per Dio:
B.1 Utilizzare termini che non indichino un genere in particolare oppure termini inclusivi per Dio, sempre che tali cambiamenti non alterino il significato fondamentale. Se viene utilizzato un termine che indica un genere in particolare, per equilibrare dovrebbero essere utilizzati dei termini che indicano l’altro genere.
B.2 Equilibrare le immagini maschili di Dio con quelle femminili.
B.3 Quando è possibile, sostituire i pronomi con nomi non connotati per genere, o utilizzare sia il pronome maschile che quello femminile.
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C. Linguaggio inclusivo per Gesù, il Cristo:
Il Gesù storico era un maschio. Il fatto storico che Gesù fosse un maschio non indica che Dio ha scelto di incarnarsi con caratteristiche maschili ma che Gesù è pienamente umano e pienamente divino. Dato che Gesù comprende sia l’umanità degli uomini che quella delle donne, è appropriato mettere in primo piano la sua piena umanità al posto del suo essere maschio.
D. Utilizzare modi diretti, aggettivi e verbi per sostituire nomi e pronomi, facendo attenzione ai significati e agli scopi che potrebbero essere modificati.
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LINEE GUIDA PER LA RAZZA
Se vogliamo essere una chiesa inclusiva, dobbiamo riconoscere di essere il prodotto del nostro passato. Inseparabile dal nostro retaggio religioso cristiano è una lunga storia di razzismo (conscio o inconscio). Il razzismo, conscio o inconscio che sia, è distruttivo e deve essere vinto per poter essere coerenti con la nostra fede cristiana. Quindi, in linea con i nostri consigli di inclusività, raccomandiamo fortemente l’eliminazione del linguaggio, delle immagini e dei simboli razzisti in riferimento alle persone, a Dio, a Gesù Cristo, alle scritture, agli inni, la musica, la liturgia e il linguaggio contemporaneo.
“Il paradosso del cristianesimo è che ciò che è saggezza per la ragione è stoltezza per Dio, e ciò che sembra folle o irrazionale alla ragione è la vera saggezza che porta alla redenzione. L’oscurità da cui la ragione fugge è la vera via alla verità e all’essere. Questo è l’insegnamento costante delle scritture. I più grandi atti di redenzione nella storia della salvezza sono stati compiuti nella notte o nell’oscurità della fede.” [The Dark Center: A Process Theology of Blackness , Bulalia Baltazar, Paulist Press, New York, 1973. pagine 162-3]
Rimaniamo turbati dalla confusione a proposito della pigmentazione (bianca, nera) e della luminosità (chiara, scura). A causa del suo razzismo, la società ha fortemente intrecciato i due aspetti. In senso tecnico e teologico i due aspetti sono separati, nonostante siano spesso confusi nell’applicazione pratica. Dobbiamo porre speciale attenzione a come utilizziamo i termini che si riferiscono alla pelle chiara e a quella scura. […]
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Testo originale (file doc): Inclusive language policy and guidelines, 1981