Testimonianza di Arsham Parsi dell’Iranian Queer Organization (IRQO) di Toronto del 28 Febbraio 2008
Sono nato in Iran, nel settembre del 1980. Ho vissuto la mia adolescenza a Shiraz in solitudine e provando disgusto per me stesso. Non ho mai incontrato nessuno come me e pensavo di non essere normale.
Ho pregato tanto per diventare una persona buona, una persona normale, e mentre gli altri digiunavano per un mese, io digiunavo per tre mesi. Ma poi ho scoperto internet ed ho visto che non ero solo.
Dopodiché ho iniziato pian piano a capire chi ero e a riconoscere la mia identità sessuale. Iniziai ad offrire consulenza e supporto legale alla community queer in Iran, ma il mio lavoro saltò all’occhio dell’autorità iraniana e il 4 Marzo del 2005 fui costretto ad abbandonare l’Iran. Erano le 00:45, lo ricordo ancora perfettamente. Dovetti abbandonare tutte le mie cose nella mia terra natia ed andare in esilio. Fu straziante.
Il treno mi portò in Turchia, dove mi feci registrare come rifugiato all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati di Ankara. Smisi di pregare. Quando scappai in Turchia promisi a Dio che avrei proseguito nel mio impegno per la community queer iraniana e che quello sarebbe stata la mia preghiera.
Tre mesi dopo il mio arrivo in Turchia il mio caso venne accolto e due mesi dopo venni invitato all’Ambasciata Canadese di Ankara. Otto mesi dopo eccomi qua, in Canada.
Ma l’omofobia ha radici profonde all’interno della società iraniana. Questo è ovviamente, in parte, anche un riflesso della linea governativa e religiosa di matrice conservatrice islamica. L’Ayatollah Ruhollah Khomeini chiese l’eliminazione degli omosessuali definendoli “parassiti e corruttori dello stato” che “espandono la macchia del male”. Riflettendo il sistema sociale patriarcale iraniano nel quale la sessualità viene repressa e controllata, ad eccezione che a fini riproduttivi.
Prima che scappassi in Turchia, tre dei miei più cari amici si suicidarono a causa del loro orientamento sessuale. Di recente la polizia iraniana ha arrestato due ragazzi gay per aver organizzato una piccola festicciola a casa.
Ad entrambi sono state inflitte 80 frustate.Io dubito di poterne sopportare anche una sola ed ho ammirato il loro coraggio.
Dopo aver ricevuto la punizione uno di loro chiese all’esecutore della sentenza se si sentisse più o meno vicino a Dio dopo questo atto di ferocia inumana. La loro vita, come tante o forse come tutte le vite della comunità LGBT in Iran, non è felice.
“Fin dalla mia infanzia non riuscivo a provare nessuna attrazione per persone del sesso opposto; certo, è ovvio che sono omosessuale,” disse Farsad, che ora ha 26 anni, nel blog che aprì in internet a 21 anni per riuscire ad incontrare altre persone come lui.
La polizia segreta trovò il suo indirizzo civico attraverso il suo indirizzo IP e lo arrestò. Passò 3 settimane in isolamento e successivamente venne accusato di indecenza, di sostenere dei valori decadenti ed omosessualità.
Lo scorso inverno, Farsad incontrò Farnam in una chat gay. Successivamente decisero di andare a vivere insieme, come coppia, ma in segreto. Invitarono un piccolo gruppo di amici per festeggiare la loro unione, ma solo dopo 15 minuti dall’inizio della festa, la polizia fece irruzione nell’appartamento ed arrestò tutti.
Vennero brutalmente malmenati, ricorda Farsad, e dopo di ché trasportati alla stazione di polizia. Rimasero in cella per tutto il periodo festivo del nuovo anno persiano. “Ci pestarono a tal punto da causarmi danni permanenti alla colonna vertebrale; posso ancora sentire il dolore dei pugni in faccia” dice Farsad.
In tutto il Medio Oriente l’Iran si distingue per la severità delle pene imposte a chi accusato di atti omosessuali consensuali. La sodomia o “lavat” (attività sessuale consumata tra maschi, con o senza penetrazione) è punibile con l’esecuzione, a prescindere che il partner sia passivo o attivo.
L’Articolo 111 del Codice Penale Islamico dice che il “Lavat è punibile con la morte nel caso entrambi i partner attivi e passivi siano maturi, consenzienti e capaci di intendere e di volere. In accordo con gli articoli 121 e 122
L’articolo 123 del codice penale dice che “se due uomini non consanguinei giacciono nudi sotto la stessa coperta non in caso di necessità”, ciascun di loro riceverà 99 frustate.
Anche le lesbiche non hanno diritto ad esistere in Iran. Molte vengono forzate dalla società e/o dalla famiglia a vivere nella menzogna e sposare un uomo. Le donne reputate colpevoli di sesso lesbico subiscono la flagellazione, e dopo esser state dichiarate colpevoli per quattro volte c’è per loro la pena di morte.
Ogni volta che vengono arrestate vengono frustate, stuprate e torturate a morte. Se vengono stuprate da sconosciuti o conoscenti, loro e le loro famiglie sono spesso restii a sporgere denuncia, dal momento che lo stupro è socialmente visto come una disgrazia ed una vergogna per la famiglia.
In accordo col codice penale iraniano, che riflette le leggi islamiche, un accusato può essere condannato per sodomia se confessa la sua colpevolezza per quattro volte. L’uso della tortura è molto diffuso in Iran, e l’uso di torturare i prigionieri per ottenere determinate confessioni è frequente.
Le confessioni forzate sono legalmente accettate come prove nei processi penali. La pena di morte per il “lavat” non è semplicemente una punizione sulla carta in Iran: essa viene realmente eseguita.
I processi per cause morali sono al centro dell’attenzione mediatica in Iran, ma l’interesse internazionale verso la frequenza delle esecuzioni ha portato il governo ad operare con più riservatezza evitando di far giungere informazioni dettagliate alla stampa. Per questa ragione confermare la frequenza ed il numero di esecuzioni per “lavat” risulta effettivamente impossibile.
Il 13 Novembre del 2005, il quotidiano semi ufficiale Kayhan di Tehran, riportò il fatto che il governo aveva pubblicamente impiccato a Gorgan due ragazzi, Mokhtar, 24 anni, ed Ali, 25. Il governo dichiarò che la condanna a morte era stata indetta per il crimine di “lavat”.
Il 15 Marzo del 2005, il quotidiano Etemad riportò il fatto che due uomini erano stati condannati a morte, dopo la scoperta da parte della moglie di uno di essi, di una videocassetta che ritraeva i due durante un rapporto omosessuale.
Nel Novembre del 2005, un ragazzo di soli 18 anni venne messo al rogo da suo padre. Indignato ed amareggiato dalla scoperta dell’omosessualità del figlio. Il padre cosparse di benzina il figlio e poi se stesso, al fine di salvare l’onore della sua famiglia. Il ragazzo morì a causa delle gravi ustioni, il padre se la cavò con delle bruciature sul viso e sulle mani. Altri iraniani sono riusciti a fuggire, come ho fatto io, ed a raccontare le loro storie.
Il 14 Novembre del 2006, l’agenzia d’informazione mediatica statale IRNA, riportò il fatto che Shahab Darvishs era stato giustiziato a Kermanshah.
In accordo col dipartimento della giustizia, era stato trovato colpevole del “ del codice penale, il “Tafkhiz” (il massaggio o sfregamento delle cosce o delle natiche commesso da due uomini, o altri preliminari sessuali senza penetrazione) è punibile con 100 frustate. La recidività è punibile con la morte quando si raggiunge la quarta condanna. vile atto di sodomia”.
Taraneh è una lesbica iraniana che vive ora in Europa. Aveva 21 anni quando venne arrestata per la prima volta. Passò 27 mesi in prigione e ricevette 280 frustate. Racconta di aver subito inumane torture e di essere stata forzata a confessare di essere lesbica. Spese numerosi giorni in isolamento con ferite sanguinanti e senza alcuna assistenza medica.
Sayeh è una dei tanti transgender iraniani che hanno vissuto in prima persona gli arresti e le torture da parte del governo iraniano. Venne arrestata svariate volte dalle forze di polizia subendo umiliazioni ed maltrattamenti. Le forze di polizia la spinsero all’interno di una macchina nera, la aggredirono psicologicamente con parole disprezzanti e la portarono in un centro di detenzione.
Avete letto giusto alcuni esempi che mostrano come in Iran lo stato, la società e la famiglia si trovano spesso assieme a creare un atmosfera di insicurezza, paura e pericolo per la comunità gay iraniana. Ho un sacco di altre storie che potrei raccontare, ma il mio punto è questo: i gay esistono in Iran.
La frase del presidente Ahmadinejad’s “Noi non abbiamo omosessuali come li avete voi nel vostro paese”, è una palese menzogna. Ci sono tanti gay e lesbiche in Iran che hanno bisogno anche del tuo aiuto. Ora.
Visita il sito
www.irqo.net (
Iranian Queer Organization – IRQO , Ex Persian Gay & Lesbian Organization – PGLO)
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