Viaggio in Costa d’Avorio, dove l’omosessualità è un crimine
Articolo di Marc André Boisvert pubblicato su La Press (Canada) il 6 aprile 2014, libera traduzione di Marco Galvagno
In Uganda il parlamento ha adottato, all’inizio dell’anno, una legge contro la promozione dell’omosessualità.
Qualche settimana fa un tribunale del nord del paese ha condannato a 15 colpi di frusta quattro uomini riconosciuti colpevoli di omosessualità.
Dappertutto in Africa l’odio contro i gay cresce, persino nei paesi reputati più tolleranti. Parliamo dell’aumento dell’omofobia in Costa d’Avorio (Africa).
Un sabato sera al Playboy, luogo d’incontro dei gay di Abidijan, centro economico della Costa d’Avorio. Alcuni uomini ballano in un locale umido e buio.
Si trattava d’una serata normale fino a quando una banda armata di machete arriva e seminare il terrore. Rapidamente i poliziotti intervengono, arrestano tre degli aggressori e mandano via i clienti.
Poco tempo dopo gli assalitori tornano e devastano il locale, spaccando tutto. I vicini tutti contenti urlano il loro odio ai froci.
Era un mese fa, oggi il playboy è chiuso. “Non abbiamo capito nulla, eravamo sotto shock, era un posto in cui stavamo bene”, racconta Mario Kouassi, un habitué del locale.
Il bar sorge in un quartiere popolare di Abidijan. Era l’ultimo obiettivo degli attacchi omofobi. La settimana precedente avevano attaccato un salone da parrucchiere, gestito da due uomini.
Un mese prima erano stati devastati i locali dell’organizzazione non governativa Alternative, che difendeva i diritti dei gay e l’appartamento del suo presidente Clavier Tourné.
Clavier non si dà per vinto: “Abbiamo creduto che la situazione si sarebbe risolta subito. Siamo qua da quattro anni e non abbiamo mai avuto problemi”.
Ora è rifugiato nei locali di un’altra organizzazione, quello che la stampa ivoriana ha ribattezzato il capo dei froci, ha riunito le sue truppe per continuare il suo lavoro.
Alternative offre un programma di lotta contro l’Aids, corsi di formazione sui diritti dell’uomo e soprattutto orecchie attente per una comunità invisibile. Ormai itinerante, l’associazione conta 625 iscritti.
Claver Touré riesce a non perdere il sorriso, nemmeno quando mostra i danni e i graffiti osceni,”è andato tutto distrutto, tranne i preservativi, ma ci rialzeremo”.
La svolta
Abidian non è mai stata così ostile ai branchés, così si chiamano tra loro i gay ivoriani. Prima della crisi elettorale del 2010- 2011, che fece quasi 300 morti, rue Princesse e rue Prince, due arterie adiacenti del quartiere Yopogoun erano il cuore pulsante delle notti abdigianesi.
Erano il feudo dei fedeli del regime di Laurent Gabò (2000-2011) che venivano a sperperare i loro soldi, i club gay e le prostitute trans si trovavano vicino ai locali frequentati da tutti. Ma il nuovo governo ha distrutto a colpi di bulldozzer questo feudo dell’opposizione.
Da allora la vita gay si è sparpagliata in bar discreti, che sorgono in tutta la città . E i travestiti hanno ripiegato su rue des Sepents, conosciuta ovunque per le prostitute che fischiano per rimorchiare i clienti.
Due anni fa erano ben in vista, ora sono più discrete per paura delle molestie degli abitanti e dei vicini.
Odio e religioni
La Costa d’Avorio è divisa tra due religioni, il cristianesimo a sud e l’islam a Nord, ma su un punto sono unite: l’odio verso gli omosessuali.
All’uscita di una chiesa evangelica del centro di Abidijan tutti i pastori che escono fanno gli stessi discorsi contro la perversione omosessuale.
Maurice Konan, un frequentatore della chiesa, rimane prudente: “l’omosessualità è contro i valori cristiani, tuttavia anche uccidere i gay è contro i nostri valori. Rifiutiamo l’omosessualità, non le persone omosessuali, non faremo come in Nigeria dove li ammazzano”.
Non tutti sono così moderati, sulle onde di radio Al Bayane, i predicatori islamici fanno discorsi agressivi, molto violenti. I musulmani sono più radicali.
“Non troviamo qua i discorsi dei protestanti americani, come avviene invece in Uganda”, spiega Claver Touré, il presidente d’Alternative, “almeno, non ancora”.
Ma è difficile puntare il dito contro la religione in internet, l’odio non ha religione e le minacce di morte sono frequenti.
Sui socialnetwork si moltiplicano le pagine con nomi chiari, “No all’omosessualità in Costa d’avorio” conta più di 11mila fans.
In Costa d’Avorio il presidente Alassane Outaara non si pronuncia sul tema dell’omosessualità, però la Costa d’Avorio rimane uno dei pochi paesi che non penalizza l’omosessualità. Ma altri presidenti invece hanno fatto dell’omofobia il loro cavallo di battaglia.
“Il diavolo non vincerà in Africa, non accetteremo l’omosessualità, impostaci dall’Occidente”.
Queste parole sono del presidente dello Zimbawe Robert Mugabe, ma avrebbero potuto essere pronunciate anche dal presidente del Gambia Yahya Jameh e dal suo omologo ugandese Yoveri Museveni.
Putin popolare
Dietro questo discorso che fa dell’omosessualità un fenomeno importato dall’occidente vi è la ricerca identitaria di un continente.
L’omosessualità fa parte dell Africa: varie etnie ivoriane accettano l’omosessualità da secoli. Ma si direbbe che la gente abbia la memoria corta e scordi presto le sue vere origini e che le leggi che reprimevano l’omosessualità furono introdotte dalle potenze coloniali, nel nostro caso la Francia.
Ma sono in pochi a vedere il dibattito in questa ottica. Durante i giochi olimpici di Sotchi, Putin ha acquisito notorietà in Africa per non essersi piegato alle pressioni dei gruppi occidentali contro la legge russa che vieta la propaganda omosessuale.
Jean Kouane, militante dell ex presidente Laurent Gabò è diventato un grande fan di Putin: “ha dimostrato che si può tenere testa ai valori immorali dell’Europa occidentale”.
Secondo lui è una questione di resistenza all’arroganza occidentale. Sostiene “Del resto là hanno preso potere i gay, bisogna lottare contro questo imperialismo”.
Se le idee di Jean Kouane sembrano radicali, sottolineano che per molti i sostegni dei governi occidentali possono rivelarsi controproducenti.
L’organizzazione Alternative ha ricevuto un finanziamento di 45 mila euro dall’ambasciata francese nel giugno 2013, il giorno dopo un giornale ivoriano intitolava.
“La Francia finanzia la propaganda dei froci”. Non è la prima volta che viene sostenuta questa tesi.
L’adozione in Costa d’Avorio di un nuovo codice civile, che voleva dar più diritti alle donne, ha preso un andamento imprevisto.
Mentre il dibattito sul matrimonio per tutti impazzava in Francia, il presidente Alassane Ouattane ha dovuto rassicurare gli ivoriani: “il matrimonio gay non è una delle riforme proposte”.
“E’difficile lottare contro l’omofobia quando i media francesi, molto visti e letti in Costa d’avorio, lasciano libertà di parola agli omofobi. La situazione è anche il risultato di ciò che avviene in Occidente, non viviamo in un vaso chiuso.
Ciò non vuol dire che le autorità ivoriane restino a braccia conserte. Se i poliziotti locali si sono rifiutati di proteggere Alternative dagli attacchi, il governo centrale dal canto suo ha dispiegato i suoi soldati per mettere fine al saccheggio.
Siamo stati ricevuti dai giudici e la denuncia sta facendo il suo corso” spiega Claver, sostenendo che gli attacchi omofobi sono a suo avviso il frutto “di gruppuscoli violenti e non sono dovuti all’odio popolare”.
Nonostante il disprezzo che i gay respirano, ha fiducia che gli ivoriani non siano omofobi.
A confermare la sua teoria è la donna d’affari e personalità politica locale Marie Catherine Koissy che ha fatto coming out sulla radio locale Nostalgie, proprio il giorno della nostra intervista.
La signora, cinquantenne, ha ammesso in un’ora di grande ascolto di amare le donne. “Mi ci è voluto del tempo per accettarlo, ma ho accettato questa sessualità ambivalente.
Il giorno dopo non c’è stata nessuna violenza, nessuna minaccia, nessuna reazione, solo una certa indifferenza”.
Tre vite, tre realtà
Monika, 33 anni, transgender. E’stata la mia amica Barbara che veniva da Parigi che mi ha insegnato tutto, spiega Monika in un verde ed elegante vestititino aderente. Da quando era un ragazzino si sentiva donna. Nove anni fa ha deciso di diventarlo prendendo degli ormoni.
Sono difficili da trovare e le costano 80 mila franchi africani, circa 190 dollari, cioè l’equivalente del salario mensile minimo in Costa d’Avorio.
Monika ha ricevuto il sostegno della sua famiglia musulmana. Ha riunito i suoi famigliari, ha preso un lungo respiro e lo ha detto.
Hanno risposto puoi fare quello che hai detto, ma devi farlo bene. Si preoccupavano per la mia salute, ma la sua vita non è stata facile. Dal suo petto esce una cicatrice: sono stata pugnalata in casa, i suoi vicini sono intervenuti per disarmare l’agressore.
All’ospedale inizialmente non volevano curarla. Monika si preoccupa degli attacchi e delle offese che sono diventate il pane quotidiano, per lei e le sue amiche. Non esce più di casa dopo le dieci di sera.
Deschanelle 22 anni, lesbica. Tumida Deschanelle non ti guarda in faccia. La mia famiglia lo sa, ma non vogliono sentirne parlare. Ho fatto coming out solo quattro mesi fa.
Deschanelle ha un aspetto sportivo, ma sostiene di non essere nè una troussou (lesbica femminile nella lingua locale), ne una yossi (lesbica mascolina). Al collo porta una piccola croce: sono a mio agio, riesco a conciliare la religione e il mio orientamento sessuale. Dio ci insegna di non fare del male.
Va a messa tutte le domeniche. Da due anni frequenta una ragazza, incontrata al liceo.
“Mi sono detta voglio avvicinarla, mi ha chiesto se ero lesbica. Le ho risposto: e se ti dicessi di sì rimarresti scioccata? Stiamo insieme da allora”.
La gente accetta di più le lesbiche: siamo meno minacciose. Si direbbe che ciò che sciocca la gente è il rapporto sessuale basato sulla penetrazione. Dicono che le lesbiche finiranno per sposarsi e per rientrare nei ranghi. Ma fa lo stesso attenzione.
Ci nascondiamo, la gente non sa che esistiamo, internet rimane per noi il miglior modo di esprimerci.
Cheik 52 anni, gay in fuga. Cheik, racconta inizialmente, “ho lasciato il Mali, dove l’omosessualità è legale, per venire in Costa d’Avorio. Non potevo vivere in Mali, avevo una famiglia numerosissima e uno zio imam, temevo sempre di essere scoperto.
Ho scelto così in un primo tempo di trasferirmi in Senegal dove l’omosessualità invece è criminalizzata. Dakar è una grande città, si può essere invisibili”, racconta lui che lavora come dirigente in un’azienda di telefoni, “ma ero uno straniero, lì sarebbe stato peggio per un senegalese”.
Cheik sorride ripensando alle sue prime avventure: “ho imparato vivendo”. Il mio primo amante l ho incontrato in spiaggia vicino ad Abidijan, ho seguito le mie pulsioni. Dopo ho iniziato ad acquistare fiducia in me stesso. Prima che esistesse internet ci si basava sull’istinto o su codici segreti.
Si accarezzava il palmo della mano del propriointerlocutore, quando questo ci sringeva la mano. Prima credevamo di essere gli unici. Adesso abbiamo l’applicazione grindr e internet per ritrovarci”.
Testo originale: Côte d’Ivoire: «Ici, on rejette l’homosexualité»