Viaggio in India dove il codice penale punisce ancora gli “atti omosessuali”
Articolo di Paolo Salom pubblicato sul Corriere della sera del 13 luglio 2018, pag.14
Amare, in qualunque forma si esprima questo sentimento, non può mai essere un’«aberrazione». Scontato? Non in India dove il codice penale, nella famigerata «Sezione 377», punisce ancora gli «atti sessuali contro natura» — intendendo principalmente l’omosessualità — con il carcere fino a dieci anni.
Proprio in questi giorni, tuttavia, cinque giudici della Corte Suprema del Subcontinente stanno esaminando la richiesta di alcuni cittadini e deputati che, attraverso i loro avvocati, hanno sottoscritto una petizione per l’abolizione definitiva di un articolo di legge introdotto nella seconda metà dell’Ottocento, dai britannici, nel codice di procedura coloniale. Fino a oggi, malgrado l’indipendenza raggiunta nel 1947, la «Sezione 377» è stata sospesa soltanto una volta, dal 2009 al 2013, quando la Corte Suprema di New Delhi l’ha riattivata su richiesta del governo.
L’esecutivo ha finalmente mutato atteggiamento, nonostante il «colore» della conservazione che si porta dietro il partito di maggioranza relativa, il Bjp (Bharatiya Janata Party) del premier Narendra Modi. «Per quanto riguarda la validità costituzionale della Sezione 377 nella misura in cui si applica ad “atti consensuali tra adulti in privato” — si legge in una dichiarazione ufficiale — l’Unione dell’India lascerà la suddetta questione alla saggezza dell’Onorevole collegio». Un’indicazione che non può non essere letta come un via libera di fatto.
A far ben sperare uomini e donne Lgbt dell’India, inoltre, è il commento di uno dei giudici impegnati nella revisione di costituzionalità. «L’amore gay non è un’aberrazione ma una variazione — ha detto ieri il magistrato Indu Malhotra —. Sono le pressioni delle famiglie e della società a costringere queste persone a sposare individui del sesso opposto. Cosa che porta inevitabilmente a disordini mentali e altri traumi».
L’anormalità, dunque, sta nel non volere prendere atto della realtà multiforme della natura umana e volerla anzi piegare a un’ortodossia comportamentale che, peraltro, non appartiene alla cultura indiana. «Questa legge ha prodotto soltanto dolore e caos», ha spiegato alla Corte Ashok Desai, uno degli avvocati incaricati della petizione.
Per poi proseguire citando il Mahabharata, poema epico all’origine dell’identità indiana (scritto in sanscrito a partire dal IV secolo a.C. fino al IV secolo d.C.) , capace di raccontare le gesta anche di personaggi transgender come Shikhandi, un nobile nato donna per poi diventare uomo e guerriero. Non solo: il pantheon induista comprende divinità capaci di cambiare sesso a piacimento o, addirittura, conservarli entrambi, come Ardhanarishvara, il «dio la cui metà è donna».
Al di là dei riferimenti culturali, tuttavia, la considerazione dell’omosessualità nella vita quotidiana si è adeguata anche alle condizioni sociali del momento. In particolare, con la dominazione coloniale britannica il tabù nei confronti dell’amore «diverso» si è cristallizzato nel corpus di leggi imposte dai nuovi padroni del Subcontinente.
La partita è ancora in corso e, nonostante una campagna sostenuta anche dai media — l’influente Times of India si è schierato apertamente per l’abolizione della «Sezione 377» — gli oppositori sono ben lontani dal rassegnarsi all’evidenza della realtà. Subramanian Swamy, stimato deputato del partito di governo Bjp, ha fatto sapere nei giorni scorsi — a scanso di equivoci — che «l’omosessualità è innaturale e contro il nazionalismo hindu». La settimana prossima i giudici della Suprema Corte dovranno ascoltare proprio le voci di chi vuole mantenere in vigore la legge anti-gay. Dopo di che scopriremo se la «Sezione 377» sarà definitivamente restituita al cestino della Storia.