Viaggio in Polonia tra politici, preti e media che fomentano l’odio contro le persone LGBT
Articolo di Ian Birrell pubblicato sul sito del quotidiano Daily Mail (Gran Bretagna) il 30 agosto 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, prima parte
Michal è un diciannovenne gentile e mite, che afferma di essere “abbastanza nerd”: vuole diventare produttore di video ed è uscito allo scoperto come gay lo scorso anno, dopo aver finito le scuole: “Non è stato un gran problema dirlo a tutti, ma solo dopo ho cominciato a parlare del mio ragazzo” mi dice mentre stiamo seduti al sole.
I suoi genitori lo sostengono, e i compagni di classe non hanno avuto nulla da ridire. Michal però vive in una cittadina nel sud della Polonia che si è dichiarata “libera dalle persone LGBT”, un’iniziativa che ha scioccato l’intera Europa.
Tuchów è un comune di 17.000 abitanti che dista poco più di 100 chilometri da Cracovia, e fa parte di un’infornata di comuni polacchi che si sono dichiarati “liberi dalle persone”, o “dall’ideologia LGBT” a seguito della retorica omofoba del partito di destra al potere a livello nazionale.
Politici, sacerdoti e media invitano il popolo a fare barriera contro “la peste arcobaleno” che viene dall’estero, un’invasione che viene paragonata alle minacce dei nazisti e dei comunisti che hanno devastato il Paese nello scorso secolo. Ma Michal dice “Non ho scelto io di essere gay. È il partito al potere ad aver deciso di fare di me un nemico, e questo è molto triste”.
La decisione di dichiararsi zona libera dall’ideologia LGBT, presa da un piccolo comune nel cuore delle campagne cattoliche polacche, va contro i principî dell’Unione Europea (di cui la Polonia fa parte dal 2004), la quale si basa sui valori della democrazia, della libertà e della tolleranza.
L’eminente politico gay Robert Biedroń, parlamentare della sinistra liberale, sente in questa retorica una eco di Auschwitz: “Ho letto nei libri di scuola che c’erano scuole e negozi liberi dagli ebrei, e ora ci sono le città libere dalle persone LGBT. È una cosa che ricorda un passato terribile”.
Lo scorso mese Bruxelles ha negato a Tuchów e ad altri cinque comuni, anch’essi liberi dalle persone LGBT, i fondi necessari per progetti di gemellaggio. Un comune francese, invece, ha sospeso, dopo 25 anni, il suo gemellaggio con un comune polacco.
C’è però il timore che l’Unione eviti di intraprendere azioni più decisive contro la Polonia e l’Ungheria, i cui leader populisti arretrano sui valori chiave della democrazia come la libertà di stampa, i diritti umani e l’indipendenza della magistratura: “L’Europa deve difendere i suoi valori, ma il problema è che il nostro governo è euroscettico, e dice che l’orrendo Occidente non protegge i bambini polacchi” afferma Robert Biedroń.
Il caso è stato sollevato lo scorso anno, quando Rafał Trzaskowski, sindaco centrista di Varsavia, ha firmato uno storico impegno di alleanza con le persone LGBT che include lezioni contro la discriminazione nelle scuole.
Incombevano le elezioni, e il partito di destra al potere, Diritto e Giustizia, alleato con la Chiesa Cattolica, ne ha approfittato per gridare alla minaccia dei valori famigliari, alla sessualizzazione dei bambini e alla “propaganda della pedofilia”. La questione si è rivelata sensibile per gli elettori conservatori, e la retorica è quindi diventata ancora più dura, paragonando “l’ideologia LGBT importata dall’estero” con l’ingegneria sociale nazista e comunista.
L’arcivescovo di Cracovia Marek Jędraszewski è arrivato a usare l’anniversario dell’insurrezione di Varsavia (il tentativo di liberare la capitale dai nazisti) per denunciare “la peste arcobaleno […] nata dal medesimo spirito neomarxista” del bolscevismo “che mira a controllare le nostre anime, i nostri cuori, le nostre menti”.
Il partito Diritto e Giustizia ha reso centrale questo tema nelle elezioni presidenziali del mese scorso, in cui il candidato uscente Andrzej Duda (che ha sconfitto l’avversario Rafał Trzaskowski per pochi voti) ha affermato che “l’ideologia gay” è più distruttiva del comunismo, e che è stata “contrabbandata” nelle scuole.
Intanto Jarosław Kaczyński, leader di Diritto e Giustizia e vero capo della Polonia, definisce l’omosessualità “una minaccia all’identità polacca, all’esistenza della nostra nazione, e quindi allo Stato polacco”.
Secondo altri la Polonia, che ha reso legale l’omosessualità quasi un secolo fa, prima di altre nazioni europee, sta cercando di proteggere i valori famigliari da concetti “alieni” come il matrimonio omosessuale e la fluidità di genere: “Non va di moda parlare dei tradizionali valori cristiani, che però la gente vede minacciati dall’esterno, come accadeva nell’era comunista. Non è questione di essere contro le persone omosessuali” riflette un analista.
I rappresentanti di Diritto e Giustizia a Tuchów la pensano allo stesso modo: “Non credo che gli omosessuali siano peggiori degli altri, ma il modello polacco di famiglia, ovvero un uomo e una donna che si sposano, fa parte della tradizione e va difeso” dice il trentaduenne assessore Grzegorz Niemiec, il quale afferma che le zone libere dall’ideologia LGBT sono state messe in piedi per proteggere i bambini delle scuole, in quanto esiste una pressione da parte di altri Paesi per introdurre a forza l’educazione sessuale e inculcare nella mente dei piccoli che il genere è una questione di scelta.
Un abitante della città che aderisce convintamente alla retorica del governo è Henryk Trebaczkiewicz, 75 anni, ex operaio che sorprendo immerso nella lettura in un roseto costruito con i fondi dell’Unione Europea: “Il comunismo è stato una piaga, e ora abbiamo la peste LGBT, un’ideologia che costituisce un pericolo non solo per la Polonia, ma per il mondo intero”. Dice anche che Bruxelles ha commesso un errore nel tagliare i fondi alla città. La sua soluzione? “I medici dovrebbero aiutare queste persone a diventare eterosessuali.”
È deprimente sentir parlare dell’omosessualità come di una malattia, specialmente in un Paese dove più di due terzi dei cittadini LGBT affermano di essere stati aggrediti: “Siamo testimoni delle manifestazioni dell’ignoranza” dice un attivista.
Katarzyna Koch, madre di un figlio gay che si è suicidato lo scorso giugno, ha avvertito attraverso un giornale che ci saranno altre vittime se i leader politici non rinunceranno alla loro retorica infarcita d’odio: “Sono le persone come loro che hanno distrutto mio figlio, giorno dopo giorno, passo dopo passo. Ogni giorno mi chiedo: che Paese è questo, in cui devi morire per essere felice?”.