Arder. Viaggio nel cinema spagnolo LGBT
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Scheda di Luciano Ragusa con cui è stato presentato al Guado il film “Ander” di Roberto Castón il 12 settembre 2021.
Dopo aver illustrato brevemente il percorso compiuto dal cinema iberico LGBT (confronta schede febbraio 2020 e settembre 2020) periodo “tardofranchista” (1969-1982), proseguiamo il racconto che dagli anni 80’ ci conduce al terzo millennio, senza naturalmente la pretesa di essere esaustivi, invitandovi ad aggiungere film che il poco spazio a disposizione impedisce di analizzare.
Augusti Víllaronga
Augusti Víllaronga, regista e sceneggiatore, nasce a Palma di Maiorca nel 1953. Figlio di artisti, il suo amore per il cinema viene da subito incoraggiato, sebbene, dopo la laurea in Storia dell’Arte all’Università di Barcellona, i primi impieghi del cineasta sono collegati al mondo accademico (professore di immagine visiva) e alla regia teatrale.
In virtù di questo percorso complesso, Víllaronga, è quasi sempre sfuggito ai circuiti di distribuzione commerciale, ed i suoi lungometraggi, poco conosciuti.
Esordisce nel 1986 con Tras el cristal, film nel quale il tema omosessuale viene dipanato sul delicato versante della violenza sui minori. Il protagonista è Klaus, un medico nazista che durante la guerra amava compiere violenze sessuali ed esperimenti su adolescenti deportati. Alla fine di uno di questi abominevoli gesti, in uno stato d’incontrollata eccitazione, cade dal tetto del proprio magazzino, procurandosi una paralisi totale che lo costringerà a vivere per sempre dentro un polmone d’acciaio. Un giorno, in un futuro non precisato, suona alla porta della famiglia di Klaus (moglie e figlia), un giovane di nome Angelo, a suo dire inviato dall’ospedale per accudire l’ex ufficiale tedesco. Non ci vorrà molto a capire che il nuovo arrivato è uno dei ragazzini seviziati durante la guerra, tornato per uccidere il medico e compiere la sua vendetta. Qui, il colpo di scena: dopo aver eliminato Griselda, moglie di Klaus, prosegue il lavoro del suo carnefice uccidendo davanti ai suoi occhi alcuni minorenni rapiti per strada. L’allievo è pronto a sostituirsi al maestro, polmone d’acciaio compreso, con Rena, figlia complice dell’ex nazista, disposta ad occuparsi di Angelo.
Non basterebbero tre pagine per sbrogliare la complessità di questo film, che per molti, insieme a Salò e le 120 giornate di Sodoma di P. P. Pasolini, è il più disturbante dell’intera storia del cinema. Mi limito ad alcune osservazioni: la figura di Klaus rievoca Gilles de Rais, signore di varie località in Bretagna, Angiò e Poitou, compagno d’armi di Giovanna d’Arco, al quale sono state attribuite torture e violenze sessuali a danno di bambini e adolescenti, che, in circa centocinquanta casi, si sono concluse con la morte degli stessi. Fu per questo condannato ed impiccato il 26 ottobre 1440.
Naturalmente, la veridicità degli omicidi seriali è ancora oggetto di studi e dibatti tra gli storici, i quali, non sono ancora giunti ad una risposta concorde. E’ un dato di fatto, invece, che nella cultura di massa, Gilles de Rais, si è trasformato nell’archetipo di colui che compie il male sui minori, suscitando, nella mente di scrittori e intellettuali, personaggi come Barbablù, di Charles Perrault, oppure Dolmancé, protagonista discusso de La filosofia del boudoir del marchese de Sade, e non ultimo, il film di Víllaronga.
Anche il cinema e la letteratura hanno fornito a questa pellicola linfa ispiratrice, come Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani, dove viene evidenziato il rapporto tra vittima e carnefice; Ma come si fa ad uccidere un bambino? (1976) di Narciso Ibañez Serrador, nel quale gli aguzzini sono in età evolutiva; oppure il racconto Un ragazzo sveglio, tratto da Stagioni diverse (1974) di Stephen King, in cui un adolescente scopre l’identità nazista del vicino di casa, che, sotto minaccia di una pubblica denuncia, è costretto a raccontare le atrocità compiute in guerra. Abbeveratosi alla giusta fonte, il ragazzo, si sente pronto a sostituire il maestro, impegnando il suo tempo libero ad uccidere senzatetto.
Al di là dei precedenti illustri, Tras el cristal rappresenta davvero un “unicum” nella storia del cinema mondiale: oggi sarebbe impensabile costruire una pellicola dove la violazione, fino alla morte, del corpo di un minore, diventa l’oggetto precipuo del nostro occhio, fino a condannarci a varcare un limite che oltrepassa il voyeurismo, per farci approdare nel territorio del male puro, della bassezza strutturale, dell’orrore come sola via. La speranza non è prevista, perché il flusso di ripetute azioni malvagie irretisce, impedendo qualsiasi forma di morale possibile. Regia, fotografia, sceneggiatura, sono costruite per inchiodarci all’inferno, ma non nella forma dell’horror “splatteriano” tipico degli anni 80’, sebbene non manchino scene omicide terribili, bensì in un tragitto mentale forzato dove a farne le spese sono l’innocenza e il bene, infestate irrimediabilmente dal potere del male.
Il film, vince il Premio Manfred Salzgeber (dedicato all’attore tedesco e attivista LGBT, assegnato da una delle giurie indipendenti) al Festival del Cinema di Berlino. Víllaronga, nel 2000, ha fatto “coming-out”.
Nessun altro lungometraggio del cineasta tocca, tranne Il mare (2000), anche se indirettamente, il tema dell’omosessualità; mentre l’infanzia oltraggiata ritorna spesso nelle sue rappresentazioni, sia teatrali, sia televisive, sia cinematografiche.
Ernesto Del Río, Marta Balletbó-Coll, Dunia Ayaso
Del Río, nato a Bilbao nel 1954, dirige nel 1995 Hotel y Domicilo, un “thriller” in cui Angel, un magistrato dell’Alta Corte di Giustizia, s’innamora di Bruno, un ragazzo di strada che, con un po’ di difficoltà, ricambia l’affetto di Angel. Un giorno, viene rilasciato dal carcere Guillermo, il precedente fidanzato di Bruno, il quale, una volta libero, vorrebbe ritessere la storia con il suo ex. A seguito del diniego di Bruno, scoppia una lite violenta in cui a farne le spese è Guillermo, che viene ucciso e gettato da una scogliera per simulare un suicidio. La verità emergerà grazie ad un poliziotto amico del magistrato, che non ha mai creduto alla morte volontaria del ragazzo.
Nello stesso anno, 1995, viene distribuito nelle sale Costa Brava, di Marta Balletbó-Coll (1960), sceneggiatrice, regista, produttrice catalana. Il film in oggetto è il suo esordio alla regia, al quale viene assegnato il premio del pubblico al Festival LGBTQ+ di San Francisco. La vicenda racconta della storia d’amore tra Anna, una guida turistica in Catalogna, con spiccata vocazione teatrale, e Montserrat, un’ebrea americana che lavora come professoressa all’Università di Barcellona. La bellissima Costa Brava è il teatro del loro innamoramento, che, tra sgambetti e invidia, le porterà negli Stati Uniti a coronare il loro sogno d’amore.
Dunia Ayaso (1961, Las Palmas de Gran Canaria – 2014, Santa Cruz de Tenerife), gira nel 1997 Perdona bonita, pero Lucas me queria a mi, una commedia degli eccessi, e per questo criticata da più provenienze, che risulta in patria uno dei maggiori incassi del decennio 90’, nonostante un budget limitato. La sinossi è presto fatta: Carlos, Toni, e Dani, sono tre coinquilini che cercano un quarto ospite per dividere spese e attività sessuali. Dopo attenta analisi concludono che Lucas faccia al caso loro, perché bello, esotico, scuro. Quando tutto sembra andare per il meglio, trovano Lucas accoltellato in cucina, e si scoprirà che il ragazzo era titolare di una vita segreta piuttosto complessa.
Gerardo Vera, Yolanda Garcia Serrano
Classe 1947, Vera è un eclettico personaggio che si occupa di regia cinematografica, televisiva, teatrale. Al lavoro dietro la macchina da presa aggiunge scenografia e costumi, maestranze che lo hanno visto vincitore di parecchi premi internazionali. La pellicola che ci interessa in questa sede è Seconda pelle, 1999: il film racconta di Alberto, un uomo sposato che scopre, dopo il matrimonio e la nascita di un figlio, di avere attrazioni omoerotiche. Comincia così una relazione con Diego, situazione emotiva che Anna intuisce e del quale chiede conto al proprio marito. Tutto verrà smascherato, con Alberto che non vuole rinunciare né a Diego né ad Anna, che sente di amare allo stesso modo. La sceneggiatura prevede la morte di Alberto, e vede Diego e Anna compiere un grosso gesto di tolleranza reciproca durante i funerali dell’amato, unendo il rispettivo dolore.
Nata a Madrid nel 1958, Yolanda G. Serrano è una regista e scrittrice vincitrice del premio Goya, 1994, per la miglior sceneggiatura originale di Tutti gli uomini sono uguali. I suoi lavori spaziano dunque dalla regia cinematografica, teatrale, televisiva, alla letteratura, anche per ragazzi. Nello specifico ci interessano due lungometraggi: Amore di un uomo (1997), dove si racconta dell’amicizia profonda tra Ramón, un ragazzo gay dall’attività sessuale ricca, ed Esperanza, inconsciamente single perché innamorata dell’amico convivente. Il legame entra in discussione quando Roberto, collega di Ramón, entra nella loro quotidianità; ed infine Km 0 (2000), film corale con tanti protagonisti, alcuni dei quali gay e lesbiche, in un intreccio tragicomico che strizza l’occhio a Pedro Almodóvar, e alla migliore commedia spagnola.
ANDER
Nato a La Coruña nel 1973, Roberto Castón ha conseguito una laurea in Filologia Spagnola presso l’Università di Santiago di Compostela, al quale ha aggiunto la frequenza al Centro Studi di Cinematografia di Barcellona. Ander (2009), oltre a rappresentare l’esordio alla regia di Castón in un lungometraggio, è anche il primo film basco a tematica omosessuale, realizzato con l’aiuto di una sezione del governo che si occupa di assistenza sociale a persone LGBT, con tanto d’ufficio legale qualora servisse.
Il cineasta, che dal 2004 è direttore (e fondatore) di “Zinegoak”, Festival del cinema gay lesbico di Bilbao, accetta di rappresentare una storia inserita tra gli ambienti rurali caratteristici della regione basca, anche in virtù del limitato budget messo a disposizione dal suddetto Gabinetto. L’esito ultimativo è di forte impatto, tant’è che il film vince oltre venti premi in tutto il mondo, tra i quali, il 24° Festival Mix di Milano, e il Premio CICAE, nella sezione Panorama e Forum, al Festival del Cinema di Berlino.
Visto il successo, ci si aspetterebbe un’ampia distribuzione con doppiaggio accessoriato, invece, per scelta del regista, è disponibile solo in lingua spagnola e basca. La ragione di questa posizione è dettata dall’esigenza di incastonare i protagonisti in uno spazio che non è solo fisico, ma soprattutto luogo dell’anima. La scelta dei tempi filmici si accompagna ad una sceneggiatura perlopiù sussurrata, ben integrata ad una campagna estiva che si muove lenta, e per questo capace di sollecitare la verticalità dei dialoghi, a loro volta in rapporto ortogonale con l’orizzontalità dei luoghi.
Tutto ciò favorisce una visione sottotitolata, perché permette sia di seguire l’aspetto semantico della comunicazione, che la sonorità dell’idioma per cui è stata pensata. Gli ingredienti sin qui sommamente descritti ci consegnano un’opera fuori dai cliché tradizionali, lontana dai bei corpi e dai fasti della grande città, a ricordarci che a volte, le rivoluzioni, appartengono alla sfera dell’intimo, e si esprimono con suoni flebili.
SCHEDA DEL FILM:
Regia, soggetto, sceneggiatura: Roberto Castón.
Fotografia: Kike López; montaggio: Iván Miñambres; costumi: Atoya Arandigoyen.
Casa di produzione: Berdindu, Euskal Irrati Telebista.
Produttore esecutivo: José Maria Gonzalo.
Distribuzione italiana: Atlantide Entertainment.
Paese di produzione: Spagna.
Cast: Eriz Alberdi (Iñaki), Joxean Bengoetxea (Ander), Christian Eaquivel (Jose), Jose Kruz Gurrutxaga (Panadero), Pilar Rodriguez (madre), Mamen Rivera (Reme), Pedro Otaegi (Evaristo), Unax Martin (niño).
Genere: commedia; anno: 2009; durata: 120’.
TRAMA:
Valle di Arratia, estate 1999. Ander, contadino basco che vive con la madre e la sorella, a seguito di una frattura ad un arto inferiore, è costretto ad assumere un ragazzo peruviano, Jose, per svolgere i lavori che la vita di campagna richiede. Tra i due, superate le prime diffidenze, si instaura un rapporto solidale, che, con il passare dei giorni e delle settimane, costringe il protagonista ad una consapevolezza nuova.