Viaggio nella chiesa di papa Francesco
Articolo di Marco Politi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 23 novembre 2014
Aumentano le confessioni, ma non dappertutto. Arriva più gente in parrocchia, però non sempre alla messa. I giovani sono entusiasti di Francesco, tuttavia non significa automaticamente maggiore frequenza ai sacramenti. Ci sono preti a favore di Bergoglio e sacerdoti disorientati dalla sua linea.
Si avverte un risveglio nella base della Chiesa mentre il pontificato argentino si avvia al compimento del secondo anno. Ma l’“effetto Francesco” nelle parrocchie mostra una realtà in evoluzione, a macchia di leopardo, con tratti contrastanti.
Don Franco Bergamin, per otto anni parroco di Sant’Agnese a Roma (oggi sta a Napoli), non ha dubbi: “Le confessioni sono aumentate. La gente ritorna, si sente ascoltata. Francesco rompe gli schemi barocchi, esprime il bisogno di misericordia, l’immagine di un Dio che perdona”.
Don Mariano Cera, 76 anni, parroco a Santa Maria Traspontina, a poche decine di metri da San Pietro, ha a che fare con fedeli del quartiere, ma anche con molti pellegrini e suore di congregazioni religiose vicine. “L’impatto di Francesco è straordinario – dice – e registro tante confessioni in più, gente che non entrava in confessionale da decine di anni, fedeli che vogliono una vera confessione. Mi dicono: con questo Papa sento di ricominciare”.
La prima fascia di fedeli, che si riaffacciano, è costituita da divorziati, conviventi, credenti gay. Non hanno più la sensazione – commenta un prete romano – di dover presentare un “certificato penale” varcando la soglia di una chiesa. Tornano anche coloro che ritenevano l’istituzione astratta e dogmatica. Si avvicinano i non credenti.
Don Francesco Pesce, parroco a Santa Maria ai Monti, racconta: “Francesco è un riferimento morale per molti. I non credenti con il figlio precario sanno che il Papa parla del lavoro.
Sentono che quando parla si mette al loro livello, non è semplicemente un comunicatore, ma un persona che crea comunione. E così vengono in parrocchia, cercano il contatto con il sacerdote, si raccontano, presentano la compagna e a volte iniziano un percorso spirituale non pensato né programmato”.
Nella parrocchia, unica struttura sociale ormai rimasta sul territorio a interloquire con una umanità frammentata – a Santa Maria Traspontina sono attivi oltre dieci gruppi: catechesi, lettura biblica, preghiera, genitori, famiglie, ragazzi, teatro, centro ascolto con una psicologa, Caritas parrocchiale che distribuisce 150 pacchi alla settimana, e altri gruppi ancora – la presenza del Papa venuto dalla fine del mondo si coglie come suscitatore di interesse per il messaggio del Vangelo.
Come un aratore che rivolta le zolle di un campo spesso abbandonato a causa della routine. Francesco è l’uomo che raggiunge quanti si erano messi un po’ in disparte o avevano voltato le spalle alla Chiesa.
Don Gino Rigoldi ha una parrocchia particolare, il carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano. Il suo giudizio è netto: “Non vedo aumento nella frequenza ai sacramenti e alle liturgie. Ma se per partecipazione intendiamo maggiore interesse per la fede, per una Chiesa vicina a Gesù, per ritrovare un senso religioso della vita: questo c’è.
L’immagine della Chiesa è mutata, non è avvertita come prepotente, è più positiva”.
Quasi tutti i parroci interpellati non registrano grandi variazioni nella partecipazione alla messa. “Incrementi non notevoli”, nel migliore dei casi. E se alcuni raccontano di confessionali più frequentati, altri rispondo che “tutto è uguale a prima”. E vale anche per le comunioni.
D’altronde, come afferma don Lek Marku, giovane parroco albanese a cui sono state affidate tre piccole comunità in provincia di Terni, è vero che il Papa piace, “ma c’è il rischio che si tratti di una reazione emotiva e non si traduca in un’adesione concreta e perseverante al messaggio evangelico”.
Sì, c’è qualche confessione in più, ma l’imprenditore che fa lavori in nero non lo confessa.
Don Marku avverte ancora che tra i fedeli più riflessivi delle sue parrocchie è presente il timore che il Papa alla fine non riesca a cambiare le cose.
Anche qualche prete, spiega don Bergamin, spera che “Francesco non sia una meteora”.
Il grande problema restano i giovani. Il sociologo cattolico Alessandro Castegnaro parla di una generazione “in stand by” dal punto di vista del rapporto con la Chiesa (e non solo).
L’ex assistente degli universitari cattolici e attuale docente presso l’università pontificia Urbaniana, Armando Matteo, ha scritto un libro su “La prima generazione incredula”.
Don Pierluigi Di Piazza, parroco a Zugliano Veneto, attivissimo con il suo centro culturale Balducci e la sua opera a favore degli immigrati, commenta che il pericolo tra i giovani è una “ammirazione a distanza per Francesco”.
Vale anche per gli adulti naturalmente. Ma tra i giovani si percepisce una resistenza a lasciarsi “provocare in profondità”, a prendere posizione sulle grandi questioni.
Don Rigoldi puntualizza: “Magari i ragazzi vengono a messa per fare un piacere a me, che sono il loro rassicuratore. Però in genere gli adolescenti di oggi hanno un atteggiamento predatorio rispetto alla vita. Il loro futuro è ‘questa sera’. Il concetto di impegno ha un arco di durata modesta”. Diverso è l’atteggiamento di chi si prepara da adolescente al battesimo o alla cresima in carcere. Eh sì, perché ci sono anche giovani italiani mai stati battezzati.
L’altro nodo su cui si misura l’impatto del pontificato di Francesco è la qualità dei sacerdoti sul campo. “Ci sono giovani preti – dice Di Piazza – che si presentano come funzionari della religione, amministrano bene la liturgia, sono portatori di una ideologia clericale ammodernata, ma non assumono la dimensione della storia”. Un prete romano confida: “I sacerdoti pro-Francesco sono minoranza”.
Un altro sussurra: “Sapesse quanti preti e anche vescovi sparlano del Papa”.
Un terzo racconta di quando, durante un viaggio, incontrò il segretario di un vescovo che gli disse a proposito del pontefice: “Sua Eccellenza dice che quando arriva l’onda, ci si abbassa… poi ci si rialza”.
Ogni rivoluzione porta con sé rimescolamenti profondi negli stati d’animo. Gli individui non sono semplici pedine bianche o nere su una scacchiera. Don Mario Pieracci è rettore della piccola chiesa Santissimo Sacramento nel centro storico di Roma, lo spazio di un prete bergogliano ante litteram: Luigi Di Liegro. “Siamo l’unica aperta di notte ai clochard”, racconta.
“Arrivano persone di famiglie ridotte in povertà, gente che ha perso il lavoro, senzatetto, anziani abbandonati dai figli, donne picchiate dal marito. Ogni notte dormono qui quaranta poveri, lasciano i bagagli in sacrestia, si spegne la luce alle 10,30, sveglia poco dopo le 7 e poi una messa di ringraziamento”.
Alla funzione di domenica pomeriggio vengono in tanti che una parte sta fuori dalla chiesa. Con loro però non si parla di religione o del Papa. Invece tra i fedeli, la maggior parte adulti, che abitano nelle vicinanze, le questioni affrontate con il parroco sono prevalentemente le difficoltà familiari: “Separazioni, divorzi e poi…” E poi?
“C’è paura per la grande confusione che sta nascendo all’interno della Chiesa. Il timore che si facciano sbagli su tanti fronti e che le cose, in cui abbiamo creduto per duemila anni, ora non siano più valide”.
E il parroco cosa risponde, chiedo? “Anche io ho questo senso di confusione, specialmente dopo il Sinodo”, ribatte Pieracci: “Cosa posso dire se un cardinale sostiene che l’amore fra i gay ha una positività?”.