Vigiliamo, perché nulla è acquisito per sempre, specialmente i diritti
Riflessioni bibliche* del pastore valdese Giuseppe Stanislao Calati pubblicate sul bollettino della comunità metodista di Vercelli e Vintebbio nel maggio 2019
“Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo… (Isaia 43:1b.4a). Parole bellissime, che ci confortano, rassicurano, danno speranza… Ma, a ben vedere, sorelle e fratelli cari, non sono rivolte a noi, ma al popolo ebraico, anzi a quello che ne restava, i Giudei, abitanti del Regno di Giuda, a Sud, visto che il Regno di Israele, il Regno del Nord, era crollato, conquistato dagli Assiri, più di centocinquant’anni prima. Se vogliamo, poi, essere precisi neppure a tutti i Giudei, ma a quella parte, in definitiva una piccola parte, che era stata deportata a Babilonia. Quelle parole, piene di promesse e speranze, escludevano più che includere, tagliando fuori senza tanti complimenti, tutto il resto dell’umanità…
Su quale base, dunque, leggiamo parole non destinate a noi e le sentiamo nostre? Non è un po’ come se leggessimo la posta di qualcun altro, pretendendo che quello che stiamo leggendo sia per noi? Lasciamo un momento la questione in sospeso…
Anche Gesù, nel Vangelo di Matteo, dirà ai discepoli, che gli chiedono di dare soddisfazione ad una donna cananea, perciò pagana: Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele (Matteo 15:24); sarà la fede di quella donna a convincerlo a guarirne la figlia, tormentata da un demonio. La prima comunità cristiana, non senza difficoltà, riconoscerà di avere un mandato universale, i cui confini spaziali sono le estremità della terra, dal quale nessuno è in sé escluso. Solo la fede, la fede in Cristo, è il requisito, necessario e sufficiente, per essere ammessi in quella comunità.
Ma subito si contrappongono e si scontrano due visioni: è necessario rispettare la Legge di Mosè, o almeno i suoi precetti più importanti, circoncisione e precetti alimentari, per diventare parte della chiesa, o non conta nulla? Il contrasto è forte, spesso aspro; chi non ricorda le dure parole di Paolo a Pietro nella disputa di Antiochia? Alla fine la Legge di Mosè, ma non i comandamenti, viene messa da parte, e la chiesa primitiva sempre più si allontana dall’ebraismo e dalle sue tradizioni, diventando prestissimo la chiesa dei gentili, cioè dei non ebrei. Di molti precetti, in particolare quelli alimentari, presto non si tiene alcun conto, ma è proprio la scomparsa dell’elemento ebraico a far sì che perdano di importanza: nessuno si sogna di considerare una trasgressione gravissima mangiare il maiale o determinati tipi di carne, o il fatto di seminare due specie di semi differenti, o di portare una veste tessuta di due diverse materie (Deuteronomio 14:8; Levitico 19:19).
Dell’Antico Testamento tutto ci siamo appropriati, considerandoci anche il nuovo Israele, e con grande libertà abbiamo tolto di mezzo quei precetti dei quali non sentivamo più o non comprendevamo più l’attualità. Nell’ambito del costume e della morale sessuali, invece, si sono confermate le condanne che già l’Antico Testamento aveva formulato, contro l’omosessualità maschile, l’apostolo Paolo, il quale, riprendendo il Levitico (20:13), condanna in generale l’omosessualità femminile e maschile (Romani 1:26.27), l’effeminato e il sodomita (1 Corinzi 6:9); il Levitico prevedeva, per entrambi, la pena di morte. Nel Deuteronomio si condanna il travestimento, cioè l’uomo che si veste con abiti femminili e la donna che si veste con abiti maschili. Nella Didakhé dei 12 Apostoli, testo più antico di molti altri del Nuovo Testamento, non troviamo cenno alle relazioni omosessuali tra adulti, ma c’è l’esplicito divieto di corrompere i fanciulli.
Giudaismo e cristianesimo erano caratterizzati da una morale sessuale più severa di quella dei pagani: adulterio, frequentazione di prostitute e relazioni tra persone dello stesso sesso erano condannati. Gli studiosi affermano che l’antichità pagana, greca e romana, era caratterizzata dalla bisessualità, dall’alternarsi cioè di rapporti etero ed omosessuali, tanto che non esisteva un gruppo di omosessuali come categoria distinta e opposta a quella degli eterosessuali. Si noti che Paolo condanna entrambi i maschi adulti coinvolti nella relazione, mentre nella comune considerazione era solo l’effemminato a incorrere, non tanto nella condanna morale, ma nella derisione e nel disprezzo, in quanto maschio adulto che assumeva un ruolo passivo, “facendosi donna”.
La nostra chiesa ha partecipato al Pride dell’11 maggio scorso a Vercelli, organizzato dalle associazioni LGBT; la nostra chiesa, anche a livello di Sinodo, si è più volte espressa con posizioni di apertura e in difesa dei diritti della minoranza LGBT. Si trattava, e si tratta, di schierarsi a difesa del diritto di ognuno di essere rispettato nella sua dignità di persona e di cittadino, a prescindere dal suo orientamento affettivo e sessuale.
In questi tempi non si può non prendere posizione contro chi vorrebbe imporre a tutti la propria morale, salvo poi essere il primo a non essere coerente con i propri principî; come protestanti siamo stati e siamo minoranza, sappiamo cosa significa. Vigiliamo, perché nulla è acquisito una volta per tutte, specialmente i diritti. Creare ostilità nei confronti delle minoranze portatrici di diversità, quali che siano, serve al potere per organizzare il consenso e imporre un totalitarismo mascherato da democrazia. Questa è la prima motivazione che ci ha spinto, e in questo siamo come e con tanti altri cittadini che perseguono tolleranza, accoglienza e rispetto reciproco tra tutti i membri del corpo sociale.
Ne abbiamo però anche un’altra, in quanto cristiani e protestanti. Intanto, siamo convinti che nessuno può essere obbligato a credere con la forza, né può vedersi imposti codici morali che non condivide: non si può essere cristiani per forza o, per forza rispettare i comandamenti; dobbiamo piuttosto testimoniare e proporre ciò che crediamo, sempre nel rispetto degli altri, delle persone vere, in carne ed ossa; questo sì, questo è il nostro valore non negoziabile. Non siamo chiamati a giudicare e a condannare, ma ad accogliere, lasciamo ad ognuno la responsabilità personale delle proprie scelte, davanti agli uomini e, se credono, davanti a Dio. Dobbiamo essere consapevoli, però, che la decisione di aprire alla realtà LGBT può esserci contestata, proprio sulla base dei versetti che abbiamo citato prima, da chi abbia una visione conservatrice o una lettura letteralista e fondamentalista; e difficilmente potremo mettere in campo argomenti sostenuti da passi biblici che appoggino la nostra scelta. Dobbiamo assumerci la responsabilità, personale ed ecclesiale, di una svolta che possiamo definire, senza esagerare, “profetica”. È ciò che si dice una scelta di rottura.
Ne abbiamo un esempio in un bel racconto di Atti (capitolo 10). Pietro, prima di andare a visitare il centurione Cornelio, ha una visione che, portandolo a superare ogni tabù alimentare, lo prepara a quell’incontro con un non circonciso, perciò impuro; Pietro dirà a Cornelio: Dio mi ha mostrato che nessun uomo deve essere ritenuto impuro o contaminato. Luca, l’autore di Atti, giustifica con una visione profetica, simile a quelle dei profeti dell’Antico Testamento, l’apertura della chiesa ai pagani, ai non circoncisi, e il conseguente superamento delle osservanze, indispensabile per condividere la mensa nel culto.
Il racconto è simbolico, certo prima i pagani si sono convertiti e la chiesa ha dovuto riconoscere la loro fede e il dono dello Spirito Santo, come avviene per Cornelio e i suoi, accogliendoli e passando sopra alle tradizioni dell’ebraismo, ormai divenute secondarie. Così noi sentiamo di dover accogliere i fratelli e le sorelle credenti, prescindendo dal loro orientamento affettivo e sessuale, accogliendolo come parte di loro. È per fede e per opera dello Spirito Santo che sappiamo che Dio dice ad ognuno e ad ognuna di noi: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Perché tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo. Così crediamo che Dio parli a tutti, senza fare distinzioni, e che, da parte nostra, nessun uomo deve essere ritenuto impuro o contaminato. Con tutto il rispetto che si deve ad ognuno in quanto persona, lo accoglieremo, la accoglieremo con amore, a braccia aperte, come fratello o sorella in Cristo, senza chiedere chi ama, senza giudicare. Forse stiamo sbagliando, e ce ne assumiamo la responsabilità, ma meglio sbagliare per amore, imitando Cristo, che sbagliare seguendo l’esempio di chi va seminando intolleranza e odio.
AMEN
* I passi biblici sono tratti dalla versione Nuova Riveduta.