Visto da Lei. Tutti i giorni mi rendo conto di pensare da omosessuale
Riflessioni tratte da sisterfriends-together.org (Stati Uniti) del 11 Marzo 2008, liberamente tradotte da Annibale Cois
Tutti i giorni mi rendo conto di pensare da omosessuale. A casa. In auto. In palestra o dal droghiere o al DMV (Department of Motor Vehicles è la Motorizzazione Civile negli Stati Uniti. Ndt). Okay. Al DMV non sto pensando da omosessuale. Sto pensando come sia possibile essere così lenti nel far andare avanti quelle miserabili, insopportabili code.
Ma anche li, qualcosa può far scattare la mia parte omosessuale e, prima di accorgermene, ecco mi trovo immersa seriamente in ruminazioni lesbiche.
Non posso davvero dirvi il contenuto esatto dei miei pensieri omosessuali. E non perché ho giurato di tenere il segreto o qualcosa di simile, è solo perché è difficile definire con esattezza i pensieri omosessuali poiché sono spesso così intrecciati con pensieri regolari che non possono essere districati da tutto il resto che occupa la mia corteccia cerebrale.
Posso essere in qualunque situazione: compilando la lista della spesa; programmando la predica per i bambini per la domenica seguente; rimproverando me stessa per non aver vuotato il bidone dei rifiuti nel giorno del ritiro; rimuginando un pensiero profondo sul mio posto nel mondo; ringraziando Dio per una giornata meravigliosa, o chiedendomi come l’automobilista di fronte a me possa a interpretare così male la segnaletica sulla rampa d’accesso dell’autostrada da fermarsi completamente e quindi aspettare, per un tempo ridicolmente lungo, prima di accelerare.
In mezzo a tutto questo ronzio di pensieri c’è un filo di pensiero omosessuale che si intreccia. I pensieri omosessuali non sono sempre pensieri e sensazioni specifici più di quanto siano soltanto consapevolezza di essere omosessuale.
Posta non richiesta arriva all’indirizzo di casa del Signor e Signora Lesbica.
Una lesbica va a comprare una cartolina di auguri di Pasqua per quella che è sua moglie da 6 anni, ma solo dopo aver guardato attentamente ciascuna cartolina per assicurarsi che non ci sia cenno al fatto di essere il più fortunato uomo al mondo.
La coppia lesbica a cena fuori per il suo anniversario esita un po’, pensando alla coppia anziana nel tavolo vicino, prima di allungare le mani sul tavolo per stringersele.
In giro a far spese, una lesbica dice all’altra “Tesoro, vuoi prendere un altro cartone di latte?” e un altro acquirente vicino a loro sbircia sopra la sua lista della spesa con il familiare sguardo che vuol dire “non saranno mica…?”.
Indefinibili piccoli incontri nel mezzo della vita che ti toccano sulle spalle per dire “Hey, tu sei omosessuale”.
Quando mi sono dichiarata per la prima volta mi sentivo colpevole perché pensavo omosessuale così tanto.
Mi chiedevo se gli altri avessero ragione quando accusano gli omosessuali di essere ossessionati dal loro essere omosessuali.
Dopo tutto, raramente, io ho pensato alla mia sessualità in tutti quegli anni in cui davo per scontato di essere eterosessuale e ora non ero nulla se non lesbica, lesbica, lesbica e temevo che la mia vita avesse perso l’equilibrio.
Se siete della razza GLBTQ (acronimo per Gay Lesbian Bisexual Transgender Queer, ndt) probabilmente sapete quello di cui sto parlando, ma se siete eterosessuali probabilmente non tanto.
Questo accade perché l’eterosessualità è un posto privilegiato che consente alle persone eterosessuali il privilegio di non pensare al loro orientamento sessuale, allo stesso modo in cui essere bianca in America mi concede il privilegio di non pensare tanto spesso al fatto di essere bianca.
E dico bianca, e non caucasica, perché l’altro giorno sono andata a fare una passeggiata con un paio di pantaloncini corti e ho sentito un bambino vicino sussurrare qualcosa alla mamma, guardando nella mia direzione, a proposito del Pillsbury Dough Boy che sembrava più simile ad una ragazza (il Pillsbury Dough Boy è un personaggio di una ditta di alimentari, molto noto negli USA, che ha l’aspetto di un cuoco di color bianco-latte, ndt). É stato un lungo inverno.
La mia idea, e io ne ho una chiara, è che la sessualità umana, qualunque forma prenda, è intrinsecamente e fondamentalmente la nostra identità.
Le persone omosessuali possono capirlo meglio semplicemente perché non stanno in una situazione di privilegio, ma omosessuali o eterosessuali non fa differenza; piuttosto che essere un elemento separato dentro di noi, la nostra identità sessuale si intreccia con tutti gli aspetti del nostro essere, così come la spiritualità, l’intelletto, la fisicità, le emozioni, il genere, l’etnicità e la razza.
Semplicemente non può essere separata da quello che siamo nella nostra umanità e, considerato questo, è totalmente comprensibile che noi pensiamo a noi stessi come essere sessuati allo stesso modo in cui noi pensiamo nei termini degli altri aspetti che ci compongono.
Questo è il motivo per cui l’invito ad “odiare il peccato e amare il peccatore” riceve una risposta così negativa.
Ascoltate, io capisco cosa vuol dire la gente quando dice questo. Brave persone, amorevoli (alcuni più di altri) dicono queste parole e io credo che le dicano con le migliori intenzioni.
L’omosessualità è una condizione, un fatto, un peccato. L’omosessuale è una persona, un essere umano, un figlio di dio.
Loro vedono le due cose come separate, ma il fatto è che l’omosessualità è il modo in cui la nostra umana sessualità si esprime e non è una cosa al di fuori di noi ma è un filo nel tessuto delle nostre vite.
Dal nostro punto di vista se qualcuno odia l’omosessualità in noi, sta odiando una parte di noi come se dicesse “odio quello che pensi, odio il colore della tua pelle, odio la forma delle tue gambe”.
E, a proposito, le mie gambe vanno benissimo. Sembrano un biscotto al latte, ma vanno bene lo stesso. Mille grazie. Spargete la voce!
Articolo originale: I Think Gay On a Frequent Basis