Vite in transizione. Solo ora posso dire di essere me stessa
Testimonianza di Cristina Lapedota di Speranza, rete dei cristiani transgender e Zaccheo Puglia – Rete Cristiani Queer
Sono stato battezzato col nome di Nicola, ma fin da piccolo quel nome e quel sesso non l’ho mai accettato, né sentito mio: non mi apparteneva!
Allora però non capivo bene la realtà che vivevo. Come tutti i bambini ho cominciato a frequentare il catechismo in parrocchia. Ricordo con nostalgia la mia infanzia trascorsa lì: ho svolto anche il servizio all’altare come chierichetto e questo mi ha fatto sentire parte integrante di quella comunità, mi sono sentita valorizzata.
È stato verso gli undici anni che le mie percezioni interiori hanno cominciato ad emergere con più evidenza: iniziavo ad avvertire attrazione verso i miei coetanei maschietti. Pensai di confidarmi con il mio parroco. Dopo le confessioni con lui mi convinsi di essere in grave peccato, e col tempo sentii sulla mia pelle sempre più forte il giudizio negativo suo e di tutta la parrocchia. Decisi allora di allontanarmi.
Verso i quattordici anni ho vissuto un lungo periodo di solitudine: andavo sempre più esplorando la mia identità di genere, la mia famiglia non mi capiva e non avevo supporto da nessuno. Ho vissuto momenti di grande smarrimento e di malessere profondo che mi hanno indotto a tentare più volte il suicidio.
Nonostante tutto, però, una cosa dentro di me era sempre più evidente e chiara: ero donna e sarei stata bene solo se avessi affermato l’identità di genere alla quale sentivo di appartenere.
A vent’anni, dunque, decisi di iniziare il mio percorso di affermazione di genere: è stato un periodo molto duro e di grande sofferenza non solo fisica ma anche spirituale: gli interventi chirurgici erano molto dolorosi e le sofferenze vissute le interpretavo come un castigo di Dio per quello che stavo facendo. Ma se non lo avessi fatto, non sarei stata me stessa. Tutta questa fase, comunque, è stata per me di fondamentale importanza perché mi ha portato ad essere la donna transgender che sono oggi.
Nessuno di quegli interventi e cambiamenti fisici, però, mi dette la completa accettazione di me stessa. Continuavo a non essere serena dentro! C’era ancora una guerra dentro di me, ancora qualcosa mi mancava, ma non capivo cosa.
Educata cristianamente al matrimonio e alla famiglia, e credendo molto in questi valori, nonostante le leggi laiche e religiose mi precludevano qualsiasi possibilità di realizzarli, non rinunciai al mio desiderio di cercare un compagno per la vita e di condividere con lui una relazione di amore fedele, duraturo e di reciproca dedizione. Per tanti anni ho avuto un compagno di vita e, con alti e bassi (come per tutte le coppie del resto), siamo ancora molto legati e importanti l’uno per l’altra. Ci siamo aiutati e supportati in molti momenti di difficoltà e ne siamo venuti fuori.
La stessa formazione cristiana ricevuta in parrocchia durante l’infanzia mi spinse a non concentrarmi solo su me stessa, ma a preoccuparmi per altri in difficoltà che, grazie alla mia esperienza personale, avrei potuto aiutare nel momento del bisogno. Non sono poche, purtroppo, le amiche transgender che non ce l’hanno fatta e le porto tutte nel cuore: mi consola la certezza che ora sono tutte nell’abbraccio infinito e incondizionato di Dio. Questo mi ha portato anche a collaborare con il Centro Anti Discriminazioni della mia città, dove mi occupo di rispondere allo sportello di aiuto attivo h24. È molto importante per me, come persona e come cristiana restituire un po’ dell’aiuto che ho ricevuto da Dio in questi anni, un Dio che ora non solo non vedo più come giudice, ma sento come presenza che mi accompagna sempre nel mio viaggio.
Di fatto, quindi, mi sono sempre sentita cristiana, anche se non “praticante”. Era questo che forse ancora mi mancava: vivere questo mio sentire insieme ad altre persone?
Poi avvenne un fatto inaspettato: l’anno scorso Alessandro, un amico transgender credente, mi ha fatto entrare in contatto col gruppo Zaccheo Puglia, rete di cristiani queer pugliesi. I ragazzi stavano organizzando una veglia di preghiera ecumenica per commemorare il Transgender Day of Remembrance insieme a due operatori pastorali con persone LGBT+ e a un pastore valdese della mia città. Adesso Dio bussava direttamente alla mia porta: avevo già quarantotto anni. Cosa dovevo rispondergli adesso?
Il cuore mi disse di accettare e di affiancare Alessandro: entrambi avremmo reso la nostra testimonianza di persone cristiane transgender. In quella occasione conobbi anche una coppia di genitori di una persona LGBT+ e don Angelo, un sacerdote dal cuore grande e aperto a tutti incondizionatamente, di cui avevo già sentito parlare.
Fu una serata inaspettatamente bella e toccante e quel pesante giudizio morale che avevo sempre sentito sulla mia pelle quando ero in chiesa cominciò a svanire.
Da quel giorno cominciai a frequentare le iniziative del gruppo Zaccheo, in particolare la preghiera online “Sul sicomoro”, organizzata ogni lunedì sera.
Col gruppo Zaccheo ho ricominciato a pregare, a leggere e meditare il Vangelo. La mia fede, schiacciata per tanti anni sotto il peso del giudizio morale, come fuoco sotto la cenere ha ripreso man mano forza, finché non ho cominciato a provare il desiderio di partecipare alla messa e di accostarmi alla comunione. Questo è avvenuto il giorno di Natale dell’anno scorso: due persone mi avevano presa per mano e mi avevano riportata in chiesa davanti a Dio. È stato allora che ho capito la natura del malessere interiore che ancora avvertivo, nonostante il mio percorso di transizione: non riuscire a conciliare la mia identità di genere con la fede in Dio.
Solo ora che ho ritrovato la mia fede, infatti, posso dire che si chiama “Zaccheo”, come il gruppo di persone credenti LGBT+ che mi hanno restituito quella pace e serenità interiore che mi mancavano.
E allora, grazie gruppo Zaccheo, don Angelo, Luigi e Valeria! E grazie anche a tutti coloro che oggi giorno non hanno più pregiudizi verso le persone come me all’interno della comunità cattolica.
Soltanto ora posso dire di essere me stessa.