Vivere pienamente. La gioia di essere una cristiana queer
Testimonianza di Mihee Kim-Kort pubblicata sul sito Sojourners (Stati Uniti) il 23 giugno 2023, liberamente tradotta da Marcella
[…] “Vivere pienamente ed autenticamente” è una frase che colpisce le persone come me che hanno accettato tardi la loro transessualità. Sentivo di non vivere pienamente la mia vita, ma di sfiorarla appena, nonostante desiderassi ardentemente immergermi in me stessa fino ad esserne zuppa, bagnata fradicia.
Avevo paura. Che significato avrebbe avuto il vivere pienamente ed autenticamente per il posto che mi era stato assegnato in questo mondo? Coreana americana di seconda generazione, con una lunga lotta alle spalle per essere accettata, mi chiedevo se la mia queerness avrebbe precluso questa possibilità.
Ricordo che Darnell Moore, autore di No Ashes in the Fire ed ospite del nuovo podcast Being Seen (riflessioni sul ruolo della cultura nel risolvere la tensione tra come ci vedono gli altri e come noi vediamo noi stessi), disse queste parole sul The Daily Show di Trevor Noah: “Queerness è magia”.
Sì, ricordo che, quando finalmente lasciai entrare quella magia nella mia vita, confidai a un amico: “Credo di essere queer”. Mi rispose: “Certo che lo sei!”. Quelle parole mi spalancarono l’universo e mi vidi per la prima volta alla luce di un sole che non avevo mai visto. Anziché avere l’impressione di camminare su gusci d’uova, sentii che potevo poggiare con sicurezza i miei piedi ovunque e che non ero più dipendente dalle aspettative del mondo.
Mi sentivo anche meno limitata dagli standard di genere e sessualità: in alcuni giorni mi lasciavo vivere la mia mascolinità, in altri abbracciavo la mia femminilità. Iniziai ad essere più libera e persino più impegnata nella vita di ogni giorno, perché potevo scegliere, nella pienezza della gioia, il mio sposo, i miei bambini, la mia comunità.
L’essere queer ha creato per me un modo di vivere pienamente ed autenticamente. L’asserzione “essere fuori”, che non ha mai avuto un impatto su di me, di questi tempi sembra contribuire all’idea di “o una o l’altra identità”, negando la realtà che ogni persona ha in sé verità multiple.
Ma per me, il vivere pienamente ed autenticamente non è tanto l’essere completamente fuori quanto l’essere profondamente umani, in altri termini significa essere persone create ed amate da Dio; abbracciare la mia queerness è stato un modo per abbracciare il dono dell’umanità.
Mi sono sentita a casa, nella mia pelle e nel mio corpo, e ho sperimentato la gioia in modi nuovi. Certamente avevo già avuto in precedenza momenti di gioia e contentezza, delizia e piacere, ma grazie alla queerness ho scoperto un tipo di gioia che sembra cadere dal cielo e che mi coglie di sorpresa nelle cose abituali e nelle fonti di meraviglia di ogni giorno: prendersi cura di un giardino e vederlo fiorire, partecipare a una sfilata, cantare la bellezza delle opere di Dio, osservare l’arrivo delle imbarcazioni.
Qualche volta la gioia è come uno scudo che stringiamo alla nostra persona per fare un passo alla volta o per cercare semplicemente di mantenere la nostra posizione; altre volte, quando guardiamo le persone amate, è talmente impastata alla sofferenza da non capire più dove sia finito il cuore.
La rete locale delle nostre Chiese aperte alle comunità LGBTQ+ ha ospitato incontri di networking per la narrazione e la compartecipazione a storie ed esperienze vissute. Ispirati dal racconto biografico di Julie Rodgers in Outlove: A Queer Christian Survival Story, abbiamo chiamato il nostro primo evento “Outlove”.
Da Julie ed altri nella nostra comunità abbiamo ascoltato storie di male e di bene, di traumi e di riprese da parte di persone queer di fede, e abbiamo riservato spazio a chi, tra la gente queer, pone la sua fiducia nella pratica religiosa, nella musica e nella presenza delle comunità locali per la propria guarigione. Abbiamo chiamato il nostro più recente incontro “Outjoy” e abbiamo colto questa volta l’occasione per incoraggiare le persone queer tra noi e le loro esperienze di gioia.
“Outjoy” (neologismo con probabile significato di “Fuori nella gioia”): amo questo neologismo e qualche volta lo ripeto a me stessa in una commozione intensa dell’anima, come una preghiera, un amen.
Outjoy. Una volta ancora per me essere queer non significa tanto essere pienamente fuori quanto uscire ed essere condotta in pienezza nel mondo, vivere ed amare nel mondo, lavorare per testimoniare con gli altri nel mondo il coraggio e la bellezza.
Qualche tempo fa mi sono fatta tatuare sulla schiena le parole di Isaia 55, 12: “Voi dunque partirete con gioia, sarete ricondotti in pace. I monti e i colli eromperanno in grida di gioia”. Questo verso mi parla del mio amore per le montagne, della natura selvaggia e, ora, riafferma anche la promessa della mia creaturalità, della mia santa natura selvaggia e, quindi, della mia umanità e della gioia di questa umanità.
Il tatuaggio è al centro della mia schiena e mi piace immaginare che proprio là si posi la mano dello Spirito Santo per spingermi in avanti, ricordandomi la bontà di questa strana vita e di questo stupefacente mondo.
Testo originale: Led Out in Joy, con Rainbow Cookies e Fresca