Vogliamo risposte pastorali efficaci per le esistenze concrete delle persone LGBT
Testo elaborato da alcuni operatori pastorali che, in Italia, seguono le persone LGBT+ già presentato al percorso sinodale il 23 aprile 2022, pubblicato in Dalle frontiere al Sinodo. Alcuni percorsi fatti con i cristiani LGBT+ all’interno del cammino sinodale in Italia, a cura di padre Pino Piva sj e Gianni Geraci, edito La Tenda di Gionata nel novembre 2022, pp.13-18
Come operatori direttamente impegnati nel lavoro pastorale con le persone LGBT+ (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) in tutta Italia, abbiamo da tempo intrapreso un cammino di consapevolezza e formazione per rispondere in modo sempre più adeguato a quanto il cardinale Bassetti, presidente della CEI, ci ricordava il 28 aprile 2021:
«Vi sono grato per l’amore materno e paterno con cui siete vicini, prendendovene cura, alle nostre sorelle e ai nostri fratelli con orientamento omosessuale, gruppi cristiani LGBT (…) Le indicazioni del magistero devono diventare efficaci – nel miglior modo possibile – nelle esistenze concrete delle persone, nelle loro relazioni, tramite percorsi di discernimento personale affidati alla vostra cura. In questi cammini dovrà essere interpellata la loro coscienza, senza che alcun altro si sostituisca ad essa (…) La Chiesa non mancherà di offrire gli aiuti necessari e opportuni a ciascuno di questi itinerari d’integrazione ecclesiale».
Per questo come operatori pastorali – circa 120 tra sacerdoti, religiose/i, laiche e laici – abbiamo approfondito dal punto di vista antropologico, teologico e pastorale la condizione delle persone LGBT+ in un corso di formazione.
Ora, sempre per rispondere alla chiamata della Chiesa che ci invita al cammino sinodale, abbiamo pensato di offrire il nostro contributo a tutta la comunità ecclesiale, perché la ricchezza dei vissuti di fede delle persone LGBT+ possa nutrire tutta la Chiesa. Quanto riportiamo di seguito è il frutto della condivisione di vita e missione di circa una cinquantina di noi, in cinque gruppi sinodali dello scorso 23/24 feb- braio 2022.
Vita nella comunità
A partire dalle esperienze pastorali che viviamo da anni con persone singole e gruppi di cristiani LGBT+ e i loro genitori, non possiamo tacere quanto ci pare che lo Spirito intenda dire oggi alla sua Chiesa, invitandola ancora una volta ad un profondo e coraggioso rinnova- mento di vita in senso evangelico. Se qualche passo importante è stato fatto da alcune realtà ecclesiali, soprattutto negli ultimi anni, rico- nosciamo che siamo soltanto all’inizio di un cammino. Molto ancora deve cambiare perché le comunità cristiane possano testimoniare lo sguardo che Pietro mostra in Atti 10, quando, di fronte al pagano Cornelio, dice di aver imparato da Dio che «non si deve chiamare profano e impuro nessuno». È questo sguardo che le persone LGBT+ e le loro famiglie si aspettano oggi dalla Chiesa.
Una Chiesa che, per poter essere considerata maestra, deve innanzitutto riscoprirsi madre: capace di far sentire i propri figli profondamente amati, nessuno escluso. Ciò significa ritrovare quelle “viscere materne” che sanno portare alla vita e accompagnare; è bello pensare alla Chiesa come un “utero”, capace di dare alla luce ogni credente, nella sua continua rinascita in Cristo. Quando questo accade, è una vera occasione di grazia, che permette alle persone di giungere alla rivelazione dell’unicità della propria identità e conduce a farsi dono agli altri in quella bellezza irripetibile che è frutto della fantasia creatrice di Dio.
Sappiamo bene come questo spesso non sia avvenuto. Molte persone omosessuali e loro genitori hanno vissuto esperienze di emarginazione, di isolamento e nascondimento, quando non di aperto rifiuto, all’interno di comunità cristiane nelle quali non di rado prestavano servizi preziosi. Né possiamo dimenticare il dramma di chi è arrivato a togliersi la vita per l’impossibilità di sopportare quello che veniva percepito come un inappellabile giudizio ecclesiale di condanna.
Di fronte a tutto questo leggiamo come un autentico e prezioso segno dello Spirito la presenza nelle nostre comunità di tanti uomini e don- ne LGBT+, tra cui molti giovani, che, animati da un profondo amore per la Chiesa, di cui come battezzati sono parte, non intendono in nessun modo rinunciare alla dimensione comunitaria della propria vita di fede.
Questa legittima esigenza, che invoca comunità capaci di farsi vicine alle persone, si scontra con realtà ecclesiali assai diversificate. In molte comunità cristiane e religiose l’argomento ‘omosessualità’ è ancora un tabù di cui è difficile parlare. Altre hanno fatto grandi passi avanti e vivono esperienze molto positive di autentica comunione con le persone LGBT+, soprattutto grazie alla conoscenza diretta e all’ascolto delle loro storie.
Noi riteniamo che sempre più debba essere favorito questo incontro personale, perché molte delle fatiche o delle posizioni ostili nella Chiesa sono dovute proprio al fatto che non si guardano negli occhi le persone; le si vede e le si giudica in base a pregiudizi e luoghi comuni, a categorie già “sapute”, a stereotipi mai messi con umiltà in discussione.
Ci rendiamo conto, inoltre, che il ruolo del prete e il suo atteggiamento, più o meno accogliente, è ancora decisivo per la comunità cristiana. Una coppia di genitori ricorda come con alcuni preti sia impossi- bile un dialogo, perché arroccati su posizioni rigide, ancorate non di rado a letture fondamentaliste della Bibbia che possono accrescere la sofferenza di chi vive già la fatica del coming out di un proprio figlio.
«Volevamo sentire un prete che ci dicesse una cosa buona» – confidano – ripensando a quei giorni bui.
Ciò determina quel “pellegrinaggio speranzoso, di parrocchia in parrocchia” che molte persone LGBT+ e loro genitori intraprendono per trovare un pastore “aperto”, quasi che il Vangelo non fosse di per sé una grande “rivoluzione in apertura”.
Questo ci interroga profondamente e ci fa ritenere necessario curare in particolare la formazione dei presbiteri (oltre che delle famiglie e di tutto il popolo di Dio), permettendo loro di aggiornarsi non solo a livello teologico ma anche attraverso i recenti apporti delle scienze umane. Potranno così, con autentica premura pastorale, avvicinare senza timori le persone LGBT+ e i loro familiari, mettendo sempre al centro la persona, accompagnando ciascuno nella ricerca della vo- lontà di Dio e creando così le condizioni perché tutti possano sentirsi parte integrante della comunità. Una cura particolare va riservata ai genitori, per aiutarli ad accogliere i figli LGBT+ per quello che sono e a sostenerli con amore e fiducia in un cammino di maturazione uma- na che li porti a fiorire pienamente.
Una rinnovata formazione presbiterale favorirà anche rapporti più fraterni e trasparenti, che consentiranno alle persone omosessuali presenti nel clero diocesano o nelle comunità religiose di non doversi più nascondere per paura del giudizio altrui e soprattutto di crescere nella convinzione di poter vivere in modo pienamente maturo e fruttuoso la propria vocazione.
Accanto ai nuovi passi in ambito pastorale, riteniamo necessaria ed urgente una rinnovata ed approfondita riflessione teologica. Questo perché una pastorale efficace richiede una teologia coerente, soprat- tutto quando ci si avvicina alle coppie omosessuali che vivono da anni relazioni di fedeltà e amore. Siamo chiamati oggi a ripensare non sol- tanto le questioni relative al mondo LGBT+, ma più in generale tutta l’impostazione tradizionale della dottrina sulla sessualità e sull’affet- tività, affinché questa, lungi dal condurre ad un esercizio di controllo della vita altrui, si traduca in autentico servizio al cammino di fede degli uomini e delle donne di oggi.
Negli incontri di approfondimento antropologico e teologico abbiamo visto come tale “aggiornamento teologico” sia possibile, quando ci si metta davvero in ascolto della Parola, della Tradizione, delle scienze, delle vite, delle coscienze e delle esperienze d’amore delle persone. È importante che le opere di teologia che aprono percorsi nuovi siano liberamente discusse e presentate nei diversi ambiti ecclesiali (dalle parrocchie alle facoltà teologiche) nella piena libertà che è fondamentale per l’acquisizione della verità. La libera discussione è infatti a fondamento della vera sinodalità. Questo è ciò che già avviene in esperienze ecclesiali di altri Paesi e in altri Sinodi: anche quello italiano dovrebbe avere questo coraggio.
Urgente ci pare anche una riflessione sulla Chiesa. Quest’ultima sarà tanto più cattolica, cioè aperta ad ogni uomo e ad ogni donna, quan- to più ritroverà l’essenziale, riscoprendosi sempre di nuovo fondata sulla fede evangelica e non su base etnica o morale. Confidiamo che il Sinodo in corso possa favorire qualche passo coraggioso, che torni a mostrare il volto profetico della Chiesa. Se guardiamo ai ritardi da cui è costellata la sua storia e dei quali abbiamo dovuto ripetutamente chiedere perdono, capiremo che una prudenza eccessiva, lungi dall’aiutare la vita delle nostre comunità, contribuirebbe al contrario, oggi, ad accrescerne la crisi.
Missione, il dialogo, i dialoghi
Come operatori pastorali ascoltiamo la domanda di tante persone LGBT+ che desiderano coniugare la fedeltà alla propria identità per- sonale e la fede che riconoscono di aver ricevuto in dono. Anche tra i giovani forte è il desiderio di lasciare che la fede illumini quella sco- perta del vero sé che va maturando spesso tra fatiche ed esclusioni. Constatiamo coi nostri occhi e soprattutto col cuore quanto grande sia il bisogno di una comunità che riconosca, che cammini insieme, accompagni e sia vicina.
I gruppi di cristiani LGBT+ hanno tanta storia e tanta ricchezza da condividere con la Chiesa. Riconoscerne la presenza significa evitare di perdere un bel volto di Chiesa e la ricchezza dei cammini di queste persone, che hanno davvero a cuore il bene della comunità.
Nei cammini dei gruppi di cristiani LGBT+ vediamo quanto sia centrale l’ascolto della Parola, che risuona in tutta la sua ricchezza nella vita delle persone che accompagniamo. La Parola stessa manifesta nella vita delle persone la sua capacità di aprire strade buone. A chi vive la difficoltà di accettarsi o di essere accolto essa è vivo conforto e strumento di liberazione; per quanti fanno fatica a comprendere le esperienze degli altri, essa addolcisce i cuori e illumina lo spirito.
Le nostre esperienze ci confermano che è possibile una vera e propria pastorale. Vediamo da vicino come molti cristiani LGBT+ vivano la propria esperienza di fede con seria autenticità e quanto grande sia l’impegno e il senso di Chiesa di questi fratelli e sorelle nel realiz- zare iniziative di spiritualità e di studio. Sappiamo di dover vigilare perché la consapevolezza delle ferite subite da tanti non determini in noi, operatori pastorali, un atteggiamento paternalistico, fuori luo- go in una relazione di autentico accompagnamento. Anche per que- sto crediamo che non si debba fare una pastorale “per” le persone LGBT+, ma piuttosto “con” le persone LGBT+ e non in gruppi separati rispetto al resto della comunità, ma insieme con tutti coloro che sono interessati a superare la situazione di attuale emarginazione.
Confortati da alcuni documenti del magistero come Amoris Laetitia (250) e Christus Vivit (81), ci chiediamo se non sia giunta l’ora che questa pastorale esca “dalla catacomba” ed ogni chiesa si impegni concretamente e visibilmente nel riconoscere la presenza di credenti LGBT+ e nell’accompagnare i loro cammini all’interno della pastorale ordinaria, per far risplendere quanto lo Spirito sta compiendo nella vita di questi fratelli e sorelle nella fede.
Ad oggi c’è ancora, tra noi operatori pastorali, chi svolge questo servizio quasi di nascosto e spesso fatica a dialogare col resto del- la comunità, che ha bisogno di essere “evangelizzata” ed aiutata ad accostare questa realtà. A tal fine riteniamo urgente creare spazi di incontro autentico e vero dialogo. La nostra esperienza ci mostra in- fatti come tante volte manchi la possibilità di un confronto sereno sui temi dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere. Il dialogo vero con le persone LGBT+, come con chiunque, richiede uno sguardo umile, disposto ad ascoltare le storie vive delle persone e anche ad imparare (ad esempio, su come integrano la dimensione sessuale e quella di fede, entrambe cruciali).
Questa è la via maestra per riconoscere le opere che Dio compie oggi ed evitare il rischio di un approccio ideologico, che anteponga la dot- trina alle persone.
Tante volte, come Chiesa, rischiamo di “adattare il nostro monologo” più che entrare in un vero dialogo. Quest’ultimo esige la capacità di restare ogni tanto in silenzio. Crediamo che il magistero sia chiamato ad alleggerire i suoi pronunciamenti e talvolta a tacere perché possa- no esprimersi le comunità a livello locale e la teologia a livello accademico, secondo il proprio sentire, le proprie esperienze, i propri me- todi. Siamo convinti che vada ripensata la comunicazione pubblica della Chiesa e “ripulito” il linguaggio ecclesiale alla luce del linguaggio di Dio e della sua Parola, perché non si continui a “ferire”, abusando della Parola, piuttosto che “curare” con la Parola. In particolare, pensiamo a documenti e pronunciamenti, le cui espressioni umiliano profondamente, seppur non volendolo, la dignità delle persone.
Per un approccio serio e rispettoso al mistero di ogni vita ci pare inoltre urgente far tesoro del contributo e delle nuove consapevolezze provenienti dalle scienze che si occupano dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale. Auspichiamo che, a partire dalle recenti acquisizioni scientifiche, la Chiesa possa guadagnare una posizione ancor più decisa e chiara contro le “terapie riparative”, delle quali co- nosciamo fin troppo bene gli esiti devastanti e talvolta perfino tragici.
Da ultimo vediamo l’importanza del confronto su queste tematiche e della collaborazione con le altre confessioni cristiane e con il mondo LGBT+ laico. Altre confessioni cristiane hanno già compiuto passi avanti, sia teologici che pastorali: è dunque fondamentale confrontar- si su queste loro esperienze.
Condividere le responsabilità nella Chiesa
Dal confronto tra i partecipanti è emerso che occorre valorizzare la corresponsabilità nei processi decisionali, anche se tutto ciò com- porta molta fatica. Questo è il primo punto su cui il Sinodo dovrebbe soffermarsi perché rappresenta la direzione giusta da imboccare. Si tratta di una direzione che già si intravede in alcuni casi dove si è sperimentata una percezione diversa dell’autorità: non più l’istanza da cui attendere solo delle indicazioni esplicite su come operare, ma un confronto schietto nella ricerca di cammini possibili.
Ascoltare le persone che sono direttamente coinvolte nelle situazioni offre una prospettiva “dal basso” che può essere complementare alla visione di insieme che si guadagna dall’alto. Laddove questo si rea- lizza, l’autorità guadagna anche in credibilità. La fiducia non è solo quella che i credenti ripongono nell’istituzione, ma anche quella che la Chiesa dimostra nei confronti di tutti i suoi membri, specialmente quelli finora poco ascoltati. Ma questo obiettivo può essere raggiunto stabilmente solo attraverso un metodo, non con azioni sporadiche e ad effetto.
Una strada sicura è quella centripeta: dalle periferie, dai margini, verso il centro. Siamo tutti pedoni che camminano sulla medesima scacchiera: tutti abbiamo qualcosa da dire a partire dalle situazioni in cui siamo immersi, ma abbiamo bisogno che ci venga dato credito; abbiamo bisogno che il nostro contributo possa essere dato e non solo ascoltato al fine di costruire un pezzo di Chiesa.
Siamo convinti che il Signore continua a parlare nella storia e in quelle storie particolari che sono le vite delle persone. Abbiamo il dovere di non passare oltre e di creare quelle situazioni in cui è possi- bile uno scambio autentico, dove davvero si possano cogliere i “segni dei tempi”. Alcuni esempi in tal senso sono emersi dalla condivisione: la grande accoglienza da parte di un consiglio pastorale quando si decise di ospitare un gruppo LGBT+ per incontri di preghiera; la pos- sibilità che un gruppo LGBT+ andasse una volta al mese ad animare la messa domenicale, intrattenendosi con la comunità.
Anche la dottrina della Chiesa dovrebbe cambiare grazie al contributo che giunge “dal basso”, dove i diamanti sono immersi nel fango: anche lì c’è Dio che parla alla sua Chiesa. Il processo generativo può anche essere doloroso come lo è un parto, ma alla fine la gioia per quello che viene alla luce lo ricompensa. Condividiamo il sogno di una comunità capace di far sentire amati, e non solo giudicati, tutti i suoi figli “irregolari”. «Nell’amore non c’è timore» (1Gv 4,18).
Una Chiesa che si ingarbugli sempre meno nella dottrina e nelle norme, che non interpreti l’umano solo con questa lente, e accolga tutte le gioie, i sorrisi, ma anche tutte le lacrime degli uomini e delle donne di oggi.