Volare come un aquilone, liberi dagli stereotipi e dai pregiudizi (Sapienza 11,22-12,2)
Restituzione* dell’incontro del gruppo PAROLA… E PAROLE** di Roma del 12 novembre 2019
La scelta di questo brano del libro della Sapienza (riportato di seguito) è legata al messaggio di positività che trasuda: tutto il creato è bello agli occhi di Dio, il Signore, amante della vita, lo ha impregnato del suo spirito, ha plasmato le sue creature, le ama. Il peccato che vede in loro, anche nel più ignobile degli esseri umani, nulla cambia nel suo amore.
È un Dio paziente, che sa aspettare i nostri tempi per riscattarci dal peccato. E non è un’attesa passiva la sua, è un Dio empatico, che si mette in gioco, percorre con noi il cammino, sente la sofferenza che ognuno/a prova, un Dio che guarda con amore le nostre fragilità ed è capace di compassione per tutti.
Compassione non nel suo significato usuale di pietà, ma nel senso del patire insieme, e quindi della vicinanza nella sofferenza. Risuona dunque la presenza di un Dio compassionevole che sprofonda negli abissi dell’umanità dolente e con essa condivide la sofferenza. Un Dio madre che si china verso il creato per dare spazio alla vita in tutte le sue forme.
Ma qualche volta ci sottraiamo allo sguardo amorevole e accogliente del Signore, non ce ne riconosciamo degni, non ci sentiamo capaci di dare il nostro contributo. Le parole peccato-pentimento-castigo riprendono il sopravvento, ci opprimono e ci suggeriscono altro… Per troppo tempo tanti di noi hanno associato omosessualità a peccato, hanno vissuto le loro relazioni come sporche, peccaminose, non degne di essere chiamate relazioni d’amore,
hanno temuto il castigo e si sono sentiti costretti al pentimento, che significava però negare sé stessi, la propria identità, i sentimenti che provavano.
Come trasformare quell’aquilone che dentro di me si fa pesante, costretto a rimanere inchiodato al terreno, in un aquilone che finalmente riesce a volare libero nel cielo, libero dai lacci del perbenismo, degli stereotipi e dei pregiudizi? È possibile una virata nella vita quotidiana verso una maggiore radicalità?
Si rifà strada l’immagine di un Dio-giudice, pronto più a condannare che ad accogliere, che nulla ha a che fare con il Dio amante della vita in tutte le sue espressioni, che sa vedere il bello che c’è in ognuna delle sue creature, che le ama come sono, che non le sovrasta, che non ne vuole fare sudditi ma seguaci, che attende da loro risposte libere e consapevoli.
Il Dio creatore, che non modella le sue creature secondo standard, che non impone regole precise da seguire, risposte certe ad ogni domanda, strade maestre da percorrere che non lasciano spazio ai tanti sentieri che ognuno/a di noi può seguire o persino aprire nella sua vita, strade maestre dai tracciati definiti i cui margini sono affollati di persone fuori norma, fuori posto, fuori testa, fuori… che turbano la quiete di chi pensa che una sola strada sia possibile.
E così, a forza di ossessionarci con i peccati-non peccati, quelli legati alla sessualità, abbiamo finito per svuotare la parola peccato del suo vero significato, perdendo di vista la condizione di peccato nella quale siamo immersi, quella di non “vedere” gli ultimi, di non prestare loro attenzione, di non entrare in relazione autentica con gli altri, soprattutto con quelli che sentiamo diversi da noi.
Il vangelo di Matteo, nel cap. 25, ci aiuta a capire qual è il peccato vero, quello di non dare da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, di non accogliere chi è straniero, di non vestire chi è nudo, di non visitare chi è malato, chi è in carcere. E non importa se chi ha bisogno di aiuto sia o no buono, se lo meriti o no il nostro aiuto. È completamente irrilevante. Il testo del vangelo non dice nulla al riguardo. Quello che dice, e con forza, è che Dio stesso si nasconde in ciascuno/a di quei piccoli: che siano belli o brutti, buoni o cattivi, credenti o atei, che siano in carcere da innocenti o da colpevoli, Dio si identifica in ciascuno/a di loro.
Senza nulla togliere alle responsabilità personali, è vero però che il peccato in cui siamo immersi è un peccato collettivo. Solo insieme possiamo uscirne. Solo insieme ci si può salvare.
Sapienza 11,22-12,2
Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita, poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio, in v. Del Caravita 8 a. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com