Zaccheo a Bologna. Andata e ritorno dalla Puglia per incontrare i gruppi di cristiani LGBT e i loro genitori
Testimonianza di Fabio Trimigno del gruppo Zaccheo, cristiani LGBT di Puglia, sull’incontro Intergruppi dei gruppi cristiani LGBT e i loro genitori del nord-est* tenutosi a Bologna il 3 novembre 2019
Camminavo al buio, lungo il vialetto di casa per raggiungere il cancello che si affaccia sulla SS 89 garganica (Puglia), frazione Macchia, conosciuta per quella particolare chiesetta che sbuca tra gli ulivi: la Madonna della Libera. Ad attendermi all’uscita c’erano alcuni amici che mi avrebbero dato un passaggio alla stazione dei bus a Manfredonia, per raggiungere Bologna per un incontro informale di 30 rappresentanti dei gruppi di cristiani LGBT e dei genitori cristiani con figli LGBT, impegnati in diversi cammini pastorali sparsi nelle varie diocesi d’Italia.
Mentre scendevo giù verso il cancello, due cani cingevano i passi, Camillo a destra e Mariaspina a sinistra, e le parole di mio padre nel giorno del mio coming out: “Resterai solo come un cane!”. E invece io non ero solo. Mi viene da ridere, ma quella sera eravamo in tre di cani a percorrere il vialetto di casa, ed altri trenta che mi aspettavano a Bologna il mattino seguente.
Un viaggio per Bologna? No, un pellegrinaggio dell’anima per raccogliere pezzi di vita e trovare un modo per incastrarli alla mia vita e a quella degli altri miei amici e amiche omosessuali.
Un viaggio di rassegnazione? No, un camminare verso la speranza, verso l’altro.
Un viaggio per cedere alla tentazione che tutto è stato fatto e non si può fare più nulla per cambiare?
No, un viaggio per salire su quell’albero ed essere sotto l’occhio amante di Gesù, che ti sceglie in mezzo a tanti, ti chiama e ti desidera proprio come Zaccheo. Un viaggio per ricordarti che fai parte di quel tutto.
Un viaggio in cui il Signore non prova disgusto per nessuna delle creature che ha creato: se avesse odiato qualcuno, non l’avrebbe neppure creato o plasmato.
Un viaggio di notte nel bus, con pensieri che mi tormentavano, ma allo stesso tempo un desiderio: mettermi ancora in gioco con la mia testimonianza di vita, con la mia storia di “gay cristiano cattolico apostolico e… garganico”, in una terra che spesso è conosciuta come accogliente e calorosa con i forestieri, ma che fa fatica ad accogliere i suoi stessi figli che nascono tra le onde del mare e il profumo degli ulivi, tra le zolle di terra e le schiene spezzate.
Torno a casa e abbraccio il mio Roberto ancora con frasi ascoltate che mi frullano in testa. E oggi, a distanza da pochi giorni da quel 3 Novembre a Bologna, ricordo il tono e la grana della voce di ciascuno dei presenti.
Siamo figli, e figli sempre più feriti, ma non siamo soli come cani: occorre continuamente pensare strategie di accoglienza, perché il Vangelo possa essere sempre più vero e più concreto.
Quando la fragilità umana aprirà tutti i cuori all’accoglienza e all’altro, forse non ci sarà più bisogno di gruppi cristiani LGBT, forse la nostra meta sarà lì davanti ai nostri occhi: saremo con la nostra “di-versità” che è proprio di Dio, del suo “uni-verso”.
Continueremo a costruire ponti, a gettare le reti a largo, lontano, forse nell’abisso più profondo, in quel buio del nostro dolore, dove spesso il Signore si fa sentire. E più profondo sarà l’abisso, più la spinta che riceveremo sarà più forte per risalire su: scendere nell’abisso significa in realtà scalare le vette più alte, essere pescatori di uomini significa essere pescatori di sogni, di stelle. In fondo cos’è l’uomo se non la stella più apprezzata dall’Eterno? Cos’è l’uomo se non il desiderio più amato da Dio?
La speranza va coltivata, va costruita. La speranza è necessaria per un’igiene mentale e spirituale di ogni cristiano. Siamo chiamati ad una “diaconia di fatto” e non possiamo sottrarre a questa diaconia gli ingredienti essenziali di questa speranza: l’abbraccio e l’accoglienza, specchio della presenza del Padre.
Non occorre chiedere il permesso per pregare. Non c’è un cartellino per essere cristiano. Nessuno deve far mancare alla Chiesa il dono di questa realtà: essere frontiera e richiamarla alla sua identità. La nostra Chiesa ha bisogno di noi, e come Giuseppe e Maria non dobbiamo arrenderci a bussare.
Noi che siamo re, sacerdoti e profeti non dobbiamo dimenticare che “battezzati” significa essere anche soldati, atleti e contadini: se ci riteniamo veri battezzati allora combattiamo per abbattere muri e costruire frontiere, alleniamoci con la preghiera e seminiamo speranza.
* A Bologna all‘incontro Intergruppi del nord-est, di domenica 3 novembre 2019, si sono incontrati in maniera informale 30 rappresentanti di gruppi di cristiani LGBT e di genitori cristiani con figli LGBT impegnati in diversi cammini pastorali nelle loro realtà di chiesa, per confrontarsi sulle difficoltà, sui limiti e gli inediti percorsi in corso. Sono risuonate tre parole nelle diverse condivisioni e nei laboratori di discussione: Fare Rete, Aggiornamento e Testimonianza nella chiesa.