Zakhor, ricordati del tuo futuro! Essere responsabili del futuro di chi verrà dopo di noi
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*
Quarto Comandamento: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è giorno di riposo per il Nome, tuo Dio. Tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il tuo forestiero che è dentro le tue porte. Poiché in sei giorni Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si è riposato…” (Es 20, 9-11) (Parte terza)
Nel dono abituale, la reciprocità è quasi sempre presupposta. Lo testimonia un aneddoto che si racconta in Israele: qualcuno dona una somma enorme allo Stato per una costruzione, ma non vuole che si faccia il suo nome. Quando la costruzione è terminata, fa un putiferio perché non è stata prevista una targa con su scritto: “Dono di un anonimo”… Persino nell’anonimato sentiva il bisogno di riconoscenza!
Lo shabbat esula da questo tipo di reciprocità. Esso è immerso nell’invisibile del tempo futuro: “Ricordati del tuo futuro!”. Ricordarsi dell’invisibile significa ricordarsi di ciò che non abbiamo ancora visto, né vedremo mai, ma di cui siamo responsabili: Dio, il Messia, e le generazioni che verranno. Il filosofo Hans Jonas, ha contribuito particolarmente a chiarire il concetto di “responsabilità verso il futuro”, un futuro invisibile per definizione, ma che diventerà visibile per chi verrà dopo di noi.
Jonas ha formulato un nuovo imperativo categorico: “Agisci in maniera tale che possa esistere ancora un’umanità dopo di te quanto più a lungo possibile!”. Siamo oltre il rispetto dovuto a chi ci sta di fronte, nei confronti dell’altro che è presente davanti a noi. Siamo per oltre “un’etica della prossimità”: ci si deve interessare a ciò che è più lontano, a quello dal quale non possiamo aspettarci alcuna reciprocità. Si tratta di perpetuare la storia umana, l’umanità futura che è fragile, peritura. Non è solo l’avvenire dell’uomo a essere in discussione, ma quello del pianeta, in cui sia possibile ancora la vita e piacevole soggiornarvi.
Afferma Jonas: prima, bisognava proteggere l’uomo della natura. D’ora innanzi, si tratta di proteggere la natura dall’influenza pericolosa dell’uomo. Possiamo ora comprendere meglio lo shabbat. “ Non lavorerai”, cioè devi lasciare del lavoro per chi verrà dopo; o ancora: devi fare riposare la terra, non sfruttarla al di là del ragionevole e dell’utile…affinché le altre generazioni abbiano ancora di che produrre, lavorare, vendere.
Lo shabbat è il vuoto, il posto lasciato agli altri. L’imperativo categorico di Hans Jonas significa che oggi l’esercizio della misura, della moderazione e della rinuncia è fondamentale perché vi sia un avvenire vivibile per le generazioni future.
Questa filosofia potrebbe essere considerata come un eccellente commento allo shabbat o alla dimensione messianica del tempo: dei sei giorni del profano e del visibile e del settimo giorno dell’invisibile.
La vigilanza e la responsabilità per il mondo di domani presuppongono un’etica e un dovere universale che non sono tratti specifici dell’ebraismo, ma, certamente, vediamo all’opera nella dimensione universale delle Dieci Parole.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.