Zakhor, ricordati del tuo futuro! L’uomo santo e il riposo di tutti
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*
Quarto Comandamento: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è giorno di riposo per il Nome, tuo Dio. Tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il tuo forestiero che è dentro le tue porte. Poiché in sei giorni Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si è riposato…” (Es 20, 9-11) (Parte seconda)
Ricordati dello shabbat per santificarlo, afferma il quarto comandamento: che cos’è, dunque, la santità e come rendere santo il giorno di shabbat?
Per l’ebraismo il santo è colui che dà senso e direzione alla sua vita. Ma anche chi è capace di offrire un senso e una direzione alla vita altrui. L’uomo santo non si ritrae dal mondo e dal contatto con gli uomini. Al contrario: nel cuore delle mille quotidiane, dove corre il rischio di perdere l’anima, il santo mantiene la rotta “giusta” consentendo agli altri di orientarsi. Chi si ritira dal mondo degli uomini per dedicarsi alla preghiera e alla meditazione raggiungerà, forse, la sommità della saggezza e della spiritualità, senza tuttavia giungere alla santità di cui parla la Torah.
Lo shabbat viene santificato perché è il tempo in cui ritroviamo il senso e la direzione della nostra vita e di quella altrui. Siamo nell’ambito del senso da dare e da cercare nella vita comune, dunque, nel campo dell’etica. Santificare lo shabbat non richiede il ritirarsi dal mondo tipico del monaco, ma un’attività silenziosa o il riposo attivo di chi vuole vivere una vita significativa tra gli uomini. Ma il quarto comandamento non si ferma qui.
È sorprendente come persino lo schiavo e lo straniero, che, del resto, vengono per abitare con gli ebrei, si debbano riposare. Ricordiamoci che all’epoca, non esisteva alcun diritto del lavoro, ma la schiavitù e lo sfruttamento. Eppure, in una società arcaica, tutti potevano smettere, di quando in quando, di lavorare, eccetto lo schiavo, di cui si poteva disporre a piacimento, totalmente privato di ogni diritto. Il quarto comandamento rompe con questa regola antica: per costruire la società, occorre far riposare tutti!
Questa ragione sociale è accentuata, per così dire, da un’altra, più importante: “Poiché in sei giorni Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si è riposato”. Dio, il settimo giorno, non ha fatto nulla e, pertanto, ha creato il riposo, osservandolo Egli stesso.
Dio non ha detto: “osservate il riposo!”, ma si è riposato Egli stesso. Questa è la singolare forza dello shabbat. Del resto, il testo lo sottolinea: “Perciò Dio ha benedetto il settimo giorno, lo shabbat e lo ha santificato”. Dal punto di vista umano, un solo verbo, “ricordarti”, concerne lo shabbat. Per Dio, ve ne sono due: “benedire” e “santificare”.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.