Zakhor, ricordati del tuo futuro! Vivere secondo un progetto
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*
Quarto Comandamento: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è giorno di riposo per il Nome, tuo Dio. Tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il tuo forestiero che è dentro le tue porte. Poiché in sei giorni Dio ha fatto il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e il settimo giorno si è riposato…” (Es 20, 9-11) (Parte prima)
La prima parola che incontriamo nel quarto comandamento è zakhor, comunemente tradotta con “ricordati”. Questa traduzione è inesatta. Infatti, in ebraico, il termine per “ricordati” è tizhor o zekhor. Ma, nel quarto comandamento è scritto zakhor. Questa piccola differenza è molto importante. Secondo Rashì, infatti, il “ricordati” del comandamento è un paul, ovvero una forma grammaticale che sottolinea la continuità nell’azione. Perciò bisognerebbe tradurre: “Sii o permani nel ricordo di shabbat!”. Questo imperativo concerne il futuro, non il passato. Si tratta di ricordarsi dello shabbat che avverrà nel futuro. Come insegna Rabbi Nachaman di Breslav, “non c’è che il ricordo del mondo futuro”.
La traduzione migliore sarebbe, dunque: “ricordati del tuo futuro”. Ritroviamo, qui, il significato dell’etica di cui abbiamo già parlato: tendere verso il futuro, verso la realizzazione di un progetto; rifiutare l’assurdità del mondo. Siamo agli antipodi di un certo esistenzialismo. Non siamo “gettati nel mondo”, nel non-senso e nella “cura”, come sostiene Heidegger, né condannati alla “nausea”, come il protagonista del romanzo di Sartre che reca questo titolo; né possiamo assumere le “soluzioni” di Camus davanti all’assurdo: la tentazione del suicidio, della rivolta per dare un senso alla vita, d’abbandonarsi alla facilità dell’esistenza e al nichilismo.
Lo shabbat implica, al contrario, la dimensione dell’avanti, del davanti a me, della proiezione verso il futuro del mio essere, della forza interiore che ho dentro, del mio laggiù interiore. “Il vivente” si dice in ebraico chai. L’espressione “il laggiù che è vivente” si dice sham chai ed è composta da quattro lettere che possono scrivere la parola Mashiah, Messia. La possibilità che vi sia un al di là dal presente e da me stesso, questa dimensione, altro non è che quella del Messia, o di un tempo messianico.
Come afferma ancora Rabbi Nachaman: “è proibito disperarsi”, poiché c’è sempre, un po’ più in là una porta che si aprirà sull’avvenire. “Ricordati dello shabbat!”, è, dunque, un’ingiunzione a vivere messianicamente, a tendere verso il futuro. Esistere significa vivere attivamente e non appiattirsi sulla passività della facilità dell’essere. “Scegli la vita”, questo è il comando della Torah nel capitolo 30 del Deuteronomio. Lo shabbat è il desiderio e la possibilità di costruirsi in vista del futuro, di entrare in una dinamica che sappia creare il senso della mia esistenza futura.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità Charles de Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.